Le radici della vergogna

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    Ero così abituato a dire "avanti!", come un tic, ancor di più dal crollo dello Statuto e dal susseguente moltiplicarsi, esponenziale, di cause e denunzie. Così abituato, dicevo, che quando mi accorsi di essere io quello che bussava, le nocche sulla porta e l'orecchio proteso a ricevere l'invito a entrare, mi sembrò di trovarmi improvvisamente sull'altra faccia della vita, come se fosse una moneta.
    Ricordo che ritirai la mano lentamente, fissandola con incredulità, accusatorio quasi, poi rassegnato. Non era l'unica cosa che mi apparteneva e che, puntualmente, sfuggiva al mio controllo più razionale.
    Ero giunto su quella soglia con un unico movimento inconsulto, un solo lungo passo che dalla mia poltrona mi aveva trascinato fuori dall'ufficio e anche parecchio fuori da me. Credevo profondamente che sarei andato via di lì più leggero, ma solo dei Galeoni che mi portavo nella tasca della giacca. Per il resto, non avevo alcuna aspettativa. Una nebbia completa che - fatto assai singolare - inibiva persino il pessimismo più distruttivo: non c'era spazio neppure per il peggio, soltanto il nulla.
    Più ci pensavo, d'altra parte, più la tentazione di girare sui tacchi e sparire tra i vicoli di Notturn si faceva irresistibile.

    Dondolava avanti e indietro, guardandosi nervoso alle sue spalle, nell'attesa dell'unico comando che l'avrebbe liberato dalla prigione del gradino. Poi, per una coincidenza provvidenziale, si decise a bussare una seconda volta, ma con più decisione. A questo colpo più convinto la porta ebbe un sussulto e avanzò di quanto bastava per mostrarsi aperta, probabilmente sin dall'inizio di quell'insolito duello.

    Le cose che non vogliamo vedere...

    Mormorò Wulfric tra sé e sé, mento incassato e un evidente cipiglio, verso la porta, verso l'assurdità di quell'inutile attesa o verso un uomo con troppe primavere sulle spalle per permettersi l'arroganza di non guardare più né avanti né indietro.

    È permesso?

    Avanzava un passo per volta. Quell'antro sconosciuto sembrava celare più cassetti che stanze nascoste, ma non ci avrebbe giurato. Era piuttosto uno scenario inquietante, poteva ammetterlo, ma non era il primo portone di Notturn Alley oltre cui si avventurava. Il mestiere di difensore, senza troppo prestigio, lo teneva ben saldo nel sottobosco della società magica, dove i maghi lasciavano le bacchette a impolverare e vivevano una vita semplice priva di prodigi, spesso rassegnata, a volte disastrata, senza che una sola luce avesse mai del riguardo per loro. Il gusto per gli scheletri e le cere, tuttavia, doveva essere un qualche retaggio sociale strettamente locale, come una zuppa tipica delle sere piovose o un copricapo da festa.

    Helia Val Kyria
     
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    Le nocche che batterono la prima volta sulla porta avevano avuto un intento gentile, così come era l'attesa che ne era susseguita: Helia richiuse con cautela, quasi come se non dovesse emettere suono, al contrario di come ci si sarebbe aspettato da lei,, il libro scuro che aveva tra le mani, e stette ferma in ascolto, le spalle alla porta e il viso chino, finché non si udì un nuovo tentativo, e questa volta anche un rumore di passi felpati che varcarono l'uscio.
    La strega ebbe così una prima bozza dipinta dell'uomo che avanzò dentro il suo ufficio con leggero timore, mentre lo fissava dietro una libreria, tra i varchi di libri inclinati e appoggiati gli uni sugli altri, che lasciavano quello spazio minimo a far incastrare l'occhio, e i dorsi si susseguivano come sbarre, quando ella le sfiorò con la spalla mentre allungava il passo.

    "Pace, pace, inquieto spirito."

    Prese a leggere quella pagina scritta fittamente dal testo centrato, le frasi mozzate, come fosse più poesia che prosa, o almeno sembrò che leggesse: forse rimembrava solo parole di una famosa tragedia, e fingeva di carezzarle con gli occhi in quello stesso momento, mentre in realtà il volume dalla copertina scura privo di titolo visibile raccontava di ben altre cose, forse segrete, forse più turpi.
    Nella stanza, solo, con la voce che arrivava dalla sua sinistra, sarebbe stata dell'uomo non più giovane la scelta di sentirsi destinatario di quell'inusuale benvenuto, di riconoscersi come inquieto, o come spirito, o in cerca di pace.

    "E così, gentiluomini, vi prego, col dito sulle labbra. Il mondo è fuor dei cardini; ed è un dannato scherzo della sorte ch'io sia nato per riportarlo in sesto."

    Il resto delle parole, dal secondo periodo in poi, furrono pronunciate quando Helia sbucò fuori dalla libreria, e il suo viso diede forma a quel verbo poco prima solo rimbalzato solitario sulle pareti, e di nuovo, sarebbe stata scelta dell'uomo di interpretarne quella lettura come del tutto casuale, o di intuire che Helia avesse in realtà sottinteso il mondo del libro come il suo mondo, e se stessa come colei che avrebbe portato ordine al disordine. Lo sconvolgimento a cui si sarebbe riferita, era ben noto e ben attuale; l'ordine a cui pensava non rispettava invece alcun canone predefinito. Non per niente vi era del sarcasmo, nel constatare che quel destino sarebbe toccato a lei.
    Si appoggiò alla scrivania, alzando per la prima volta lo sguardo sull'uomo, a cui diresse un sorriso accennato, senza che il calore, pur artefatto, raggiungesse mai i suoi occhi.

    È il tormento che spinge i maghi per queste strade. Quindi mi perdoni se già assumo che sia una pena simile ad averla portata qui.

    Fece lentamente cadere il libro accanto a sé sulla superficie, passandolo da una mano all'altra e infine posandolo sul tavolo, senza che il resto del corpo si muovesse per accondiscendere al gesto. La sua attenzione era completamente catturata dal mago davanti a sé, a cui fece cenno di accomodarsi, se avesse voluto.

    O sono in errore?
     
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    Ero a due sensi dall'aver vissuto appieno quel luogo carico di misticismo. C'erano dettagli da scrutare a perdita d'occhio, odori di vecchia bottega mista alla più nobile delle biblioteche e persino il silenzio, in una cornice simile, aveva un'autorevolezza simile a quella di una pausa su uno spartito. Silenzio, sì, ma alle regole del tutto intorno. Non mi azzardavo a toccare nulla, invece, per una certa astuzia tipica da maghi - figurarsi assaggiare. Il sesto senso, naturalmente, era totale appannaggio della donna a cui avevo sentito di poter rivolgermi.
    O forse era solo l'ennesimo stereotipo.
    Ma ne mancava ancora uno, in verità. Perché quando sentii la sua voce alle mie spalle, ebbi molte reazioni tutte assieme, schiacciate infilate in un solo sobbalzo che poco si addiceva alla mia figura, umana e professionale, ma ve ne fu una che mi stupì più delle altre, e ancora mi rimane addosso come il dettaglio più vivido di un ricordo ormai mezzo falso. La sorpresa.
    La vidi per la prima volta e mi sembrò sbagliata. Non c'erano rughe, non passi strisciati, non mantelle, non un capello bianco. Non c'era vecchiaia, non c'era tempo andato e inafferrabile. Poteva essere mia figlia, eppure mi parve avere in sé tutti i misteri che mi erano sfuggiti sino ad allora.

    "Ben venga il caos, perché l'ordine non ha funzionato".

    Cercò un nuovo contegno, Wulfric, dopo esser sobbalzato come un bambino all'improvvisa comparsa della giovane donna, alle sue spalle, impalpabile come uno spettro. Provocò col primo appiglio che gli offrì la memoria. La strega recitava con apparente maestria e la sua parabola pagana aveva l'inquieto spirito di Wulfric come protagonista e spettatore al tempo stesso. L'uomo realizzò che fosse la migliore delle condanne possibili, affacciando su Notturn Alley, e concluse in fretta che la paura, in fondo, fosse già parte del servizio. Sarebbe stato ingenuo fingere il contrario e forse più inquietante ancora trovarsi in una scena luminosa e ariosa.

    E cosa spinge invece ad abitarle e servirle, queste strade?

    Non le staccava gli occhi di dosso, ora che poteva controllarne i movimenti, e non lo fece neppure mentre lentamente s'accomodò davanti a lei, accogliendo il suo invito. Continuava a temerla, un brivido che scorreva nel profondo, e al tempo stesso a pensare a lei come a un personaggio di quella pittoresca cornice dai tratti macabri. E lui, umile amatore d'arte, un passo più indietro, sì, ma fuori dalla cornice.

    E che cos'è il tormento?

    Avrebbe potuto darle ragione. Dirle di sì, confessare come il più sprovveduto dei colpevoli e rimettersi alla clemenza della sua corte di carta, se ve n'era anche solo un briciolo. Ma era un avvocato, di mestiere, e il suo mestiere era costruire la versione più convincente della storia. La verità, un accessorio. La sua, un tesoro sepolto. E quanta fatica, ancora, già seduto, alla sola idea di scavare.
     
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    L'angolo delle labbra si arcuò e si assottigliò come uno spillo, pungendo la guancia e creandovi un impercettibile solco, alla citazione non casuale che l'uomo aveva scelto, e un fremito atavico si scaricò sulla colonna vertebrale, percorrendo famelico tutte le vertebre fino alla nuca, finché l'unico luccichio limpido e sconcertante in quella stanza lo si poté vedere solo nei suoi occhi, per un attimo, inghiottito dalla pupilla di pece, che se ne sfamò prima che quello avesse forzato le palpebre a spalancarsi e irrigidirsi, come quelle di un matto.

    Sono caritatevoli. E sono eque.
    Mi danno tutto quello che hanno. Anche quando non hanno niente.


    Le ci volle un po' per rispondere alla sua prima domanda, e scelse con accuratezza parole innocue e scarne, che nascondevano dentro di sé ululati ferini, soffocati finché non sarebbe giunto il tempo di sbrigliarli. L'uomo aveva appena iniziato a guardare dentro l'abisso, e lei lo avrebbe sconvolto con cura e dedizione, come un veleno dolce: tutta la violenza che le ribolliva dentro era relegata alle viscere pulsanti, nelle punte delle dita ticchettanti, sotto la pelle del viso ancora fanciullesco.
    Quello si piegò in un nuovo sorriso sghembo, al secondo tentativo del mago di indagare su di lei e respingere l'attenzione da sé stesso, e fu qualcosa che accolse di buon grado, ma la gerarchia era ormai prefissata, come dimostravano le posizioni dei loro corpi: lui, seduto, il capo inclinato al nume; lei, in piedi, appoggiata alla scrivania, ora altare infedele, che gli svelava il suo fato come un oracolo e lo iniziava all'occulto.

    Non è la stessa vita, un tormento?
    E cos'è il mondo, se non una bellissima prigione?


    Dimorare in quelle strade era stata una scelta tanto quanto lo era quella di esser nata: una richiesta mai compiuta, un peso da accollarsi finché le gambe sarebbero cedute. Ma quelle strade di uomini soli l'avevano accolta quando tutti i luoghi del mondo l'avevano rigettata senza digerirla: la gratitudine provata stava prendendo la forma di una missione, quella di elevare i Notturni ai ranghi più alti, perché governassero sui pietosi soldati della luce, sguinzagliare le iene perché si cibassero dei leoni, e lasciando tutto il resto a marcire in rovina.

    Impazzire è l'unica libertà che ci rimane.

    Disse l'ultima frase sottovoce, lo sguardo appena più basso rispetto ai suoi occhi, che riacciuffò subito dopo, il sorriso scomparso.
    Non aveva la presunzione di supporre che le difese del mago si fossero abbassate, dopo quel breve dialogo, e che l'ombra di una nuova fiducia avesse iniziato a tenerlo al caldo in quella stanza di spifferi: nondimeno, la mancata domanda sul perché della sua presenza in quell'ufficio non fu che sottintesa; la libertà che aveva appena proferito, in palio; impazzire, un comando.
     
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    Avrei potuto semplicemente ascoltarla con lo stesso equo rispetto che si presta a un libro, quando nessuna foto dell'autore ne accompagna il nome e la sua resta una voce dall'autorità del tutto immaginata, impossibile da scalfire nella sua statuaria perfezione mentale.
    E invece continuavo a soffermarmi su quei lineamenti non ancora sfiorati dall'arroganza del tempo che tutti giudica e su cui scava la sua firma invadente, mentre quella mi parlava. E più mi parlava, più sentivo risuonare la stonatura di un sospetto sussurrarmi ammonimenti che non riuscivo a comprendere.
    Niente riusciva a togliermi dalla testa che si trattasse di un prodigio di cui presto o tardi sarei stato testimone, se non vittima. Una strega secolare mascherata da bambina, un demone vestito da angelo, la speranza di qualcosa, come un velo, e sotto l'abisso.

    Wulfric si teneva le mani giunte in grembo, la schiena poggiata appena, gli occhi fissi e la fronte aggrinzita dallo stupore. Aveva la sensazione che ogni sua domanda avrebbe avuto una risposta e la vertigine di non sapere quale scegliere. Ma in fondo, con quel po' di senno che gli restava dopo il suo ingresso in quell'antro misterioso, sapeva di star vibrando alla stessa frequenza delle sue suggestioni e poco più. La parola "prigione" davanti a un avvocato, la libertà di perdere tutto evocata al cospetto di qualcuno che non aspettava altro che la sua ora giungesse. Se non fosse già stato un mago, Wulfric si sarebbe piegato al credervi con l'energia di bambino coi suoi eroi di fantasia.

    È curioso.

    Distolse lo sguardo per la prima volta da così tanto che la stanza intorno gli parve nuova, e gli occhi troppo aridi anche per le palpebre. Accavallò le gambe e si abbandonò con meno istituzionale compostezza allo schienale.

    La sua meravigliosa massima ucciderebbe la mia carriera.

    Sorrise, ma non le disse nulla. Nelle aule più remote del Ministero aveva il compito assai arduo di garantire ben più che la follia a chi gli affidava tutto. Eppure vedeva la verità, in qualche forma, risplendere silenziosa tra quelle parole.

    In compenso, qualcuno ha già chiesto la mia vita come riscatto.

    Fece scorrere, con una naturalezza che sapeva davvero di follia. Non era che un particolare ma gli occhi dell'uomo cercarono avidi la strega. O forse smarriti. Aveva sperato che si sedesse, come lui avrebbe fatto con un suo assistito, e ancora gli si leggeva in faccia un misto di giudizio e soggezione. Si era trasformato in un cliente, anche solo per un istante, per poter avere il diritto a una pretesa e sciogliersi dal groviglio di catene che gli imprigionavano il petto.

    Può salvare un uomo dal suo destino?

    Sul volto di Wulfric, un sorriso sociale che non sapeva né di gioia né di accomodamento. Era un cristallo di zucchero su una medicina amarissima, l'ultimo segno di umanità che restava all'ombra sbiadita di un uomo. Era la domanda più semplice che aveva porto alla donna sino a quel momento. Placido era pronto a qualunque risposta, persino una domanda. E allora avrebbe giocato alle regole di lei.
     
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    Helia gli annusava l'anima. Quella che l'uomo esalava dalle narici, lasciava stiracchiare sulla lingua, e danzare debole negli occhi: lei che non ne aveva una sua, veniva attirata con foga da quelle degli altri, e tutti ne avevano una diversa, e questa era calda, tremante, delicata, languida, malinconica, e l'avrebbe indossata volentieri, fin quando avrebbe retto, e le avrebbe sussurrato cose, e ne avrebbe seguito con delizia l'ultimo ciclo vitale, guardandola infine appassire con lentezza.
    Gli ultimi sospiri sarebbero stati i più appassionanti della sua vita.

    "Nomen atque omen".
    Il mio nome è un presagio.


    Si staccò lentamente dalla scrivania, e con la stessa compostezza imperturbabile si accomodò sulla sedia, continuando a guardare il mago, ma mai con gli occhi pieni. Le palpebre rilassate toglievano ogni sorpresa dallo sguardo, come se avesse già visto tutto, come se non potesse toccarla più niente.

    Se fosse vero?
    Discendo dai signori della guerra, di coloro che tra i Persiani venivano chiamati gli Immortali.
    Secondo le tradizioni della stessa terra, il mio nome è legato al culto di colui che tutto vede e tutto ode.


    Una mano volteggiò nell'aria, a pigiare tasti invisibili che illustravano e accompagnavano con musica silente quello che diceva. Helia, Helios, Elio, Alius: sole, dio, luce, altro. Luce altra. Luce capovolta.
    Buio.
    Altro, rispetto a molti.
    Il rimanente. Tutto il resto.

    Se fosse vero!
    Non solo potrei salvarla dal suo destino, ma potrei renderla padrone del suo fato, e di quello di tutti gli altri.


    Pur ora alla stessa altezza, le loro parole continuavano a non avere lo stesso sapore. Quelle di lei sapevano della lingua biforcuta del serpente dell'Eden, il più astuto di tutte le fiere dei campi che il Signore Dio aveva fatto, che diceva all'uomo: sei nudo, vestiti; non sai, conosci; sei affamato, mangia; sei ospite, ora sii padrone di casa; ma non dimenticarti di me, perché io ti ho vestito, io ti ho insegnato, io ti ho fatto mangiare, io ti ho dato il paradiso del quale ti sei saziato. Hai aperto gli occhi sul bene e il male: e io sono il bene e il male, io sono l'inizio e la fine.

    Ma è solo un nome.

    Lasciò cadere la voce, ma non lo sguardo, premendo dolcemente le labbra carnose con un dito, come a zittire quello che altrimenti sarebbe venuto dopo. Il nome era un fatto, il nome era un destino, e se l'uomo voleva fuggire dal suo proprio, sarebbe stata una corsa vana: era tutto collegato, e dal momento in cui lui aveva varcato quella porta, si era rimesso all'obbedienza delle catene della ruota che aveva appena preso a girare.

    Quanto al mio lavoro, mi permette di aprire delle porte ed entrare in mondi inaccessibili.

    Si allungò appena verso di lui, spingendo il busto in avanti, le mani giunte sulle ginocchia, come una lupa che osservava chi era appena entrato dentro al suo recinto di selva, e lo soppesava, e vi girava attorno.

    Mi descriva la sua porta. Mi descriva la sua storia.
    Ha passato la vita a difendere la gente.
    Lascia che questa volta la protegga io.
     
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    Ad un tratto, come illuminato da una scintilla razionale, mi accorsi di averne paura. Non era vago come un timore o effimero come un brivido: era una gola nella coscienza, una spinta atavica al dovunque piuttosto che qui, e ogni frammento del mio corpo sbraitava perché lo trascinassi via. Ma ogni direzione era nessuna direzione, e così me ne stavo immobile dov'ero con un solo residuo di speranza, quella di non implodere.
    Avevo le vertigini come sull'orlo di un precipizio, e quel precipizio era tutto ciò che di me non sapevo ancora. O che lei mi stava convincendo che ancora mi fosse sconosciuto.
    Riuscii a prendere una boccata d'aria sincera, realizzando in un istante che l'imprevedibilità delle vie del suo agire era al tempo stesso la causa della mia profonda inquietudine e la ragione stessa per cui ero lì a cercare di risolverla. Nessuno aveva mai scritto manuali per quello che sentenziava, che io sapessi, o ero comunque abbastanza certo che non vi fosse un codice, nel senso più giudiziario del termine, da cui attingere con mestiere come facevo io. Ecco la crepa. E quanto più si avventurava con tutta la libertà del mondo, oltre un velo che mi inibiva la vista, tanto più si faceva credibile. Quindi spaventosa.
    Quando mi accorsi di averne paura, ero già un passo più avanti verso la vita.

    Il suo nome affondava le radici tra le parole "lupo" e "potere", in una lingua lontana, ma gli parve un ponte così sciocco tra la sua storia e la perfetta costruzione della donna, che aveva scomodato popoli tanto grandi da avere un nome tutto loro prima delle nazioni, che tacque. Non spettava a lui speculare, l'avrebbe pagata perché lo facesse al posto suo. E poi la strega lambì comunque il tema del controllo e tanto valse come certificazione.
    Wulfric inspirò e nello stesso fiatare si sentì come se avesse sbottonato la camicia davanti alla sconosciuta. Esposto e scomodo.
    Era tremendamente complicato. Una matassa che s'era aggrovigliata così tanto nel tempo da assomigliare a un perverso uroboro della coscienza impossibile da liberare da se stesso, ormai.

    Ho commesso uno sbaglio.

    E una persona aveva pagato la propria libertà con la vita e aveva dato in pegno quella di chi l'aveva condannata alla scelta più tragica. Wulfric lo raccontò girando al largo dai nomi e dai tempi, persino dai luoghi, ma credeva di aver isolato il cuore del suo patire. Sentiva di poter dare del tu alla morte in persona, se l'avesse avuta di fianco, e che l'avrebbe riconosciuta tra mille vivi, fossero anche stati travestiti per ingannarlo. Era una presenza costante come un debito, un peccato inestinguibile come un ritardo.

    Vivo i miei giorni come il ricordo di un morto.
    Ma non lo sono ancora.


    Spalancò le palpebre, aggrappandosi allo sguardo della giovane strega col gelido dramma di un uomo incastrato nel suo doppiopetto. Aveva una domanda che fremeva sulla lingua, il seme del dubbio a cui per primo non poteva credere. Ma era lì anche perché Helia Val Kyria provasse a condurlo fuori dall'unico mondo che gli era accessibile: una gigantesca clessidra puntata sulla fine dei suoi giorni, e lui era costretto a darle le spalle.

    Vero?
     
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    Lo aveva ascoltato rapita, tutto ciò che l'uomo aveva raccontato aveva preso la forma di una raffigurazione salvifica, pennellate trecentesche costruite su quella prospettiva a spina di pesce che convergeva su vari punti di un'asse, e lei aveva gettato un occhio da spettatrice da quella finestra su quelle inverosimili costruzioni geometriche, di pupazzi bianchi senza volto e senz'anima, compreso chi le stava parlando con patimento nella voce.
    Quando lasciò andare l'ultima sillaba le parve ancor più scarnificato di come quando era entrato, affidando le sue ossa scabre a lei perché ne legasse i fili alle estremità e le incominciasse a far saltare e schioccare tra loro, un ballo disadorno di una carcassa che suovava come flauti alla brezza invernale della fine della vita che soffiava nelle cavità, ultimo lugubre canto del cigno.
    Si alzò piano dalla seduta, rizzandosi e percorrendo con molta flemma la distanza che lo separava da quella dell'altro, incominciando a parlare senza guardarlo, come se non esistesse più in quella stanza - proprio come si sentiva lui nella sua stessa vita.

    Maledici un uomo e vi saranno due tombe.

    Le maledizioni erano reali, pregne della magia insita nei maghi prima che stringessero le dita attorno alla bacchetta, della loro volontà, del loro dolore, e per questo più potenti e durature, molto più difficili da spezzare. Helia le aveva lanciate e ne era stata vittima, forse dal primo giorno in cui era nata: e se quello non si fosse rivelato vero, allora era vincolata comunque a fare di una condanna ogni altro giorno speso su quella terra, così che il suo rapporto con l'effimero si era rinfiancato così tanto da renderle amara ogni cosa di cui non riusciva a scorgerne la fine.

    Ciò che le ha tolto fino ad ora è stata la sua storia personale, non discernendo più quale fosse si è sentito perduto.

    Era arrivata al suo fianco, e ora lo superava con lentezza, sparendo del tutto dal suo campo visivo, così che se non si fosse girato, torcendo busto e collo nello sforzo di seguirla, ne avrebbe captato solo la voce quasi giunta alle sue spalle, lasciandolo solo in un ufficio in penombra, dove pure le copertine dei libri gli davano le spalle, e i teschi nelle teche vibravano di sorrisi sinistri.

    Ma mi ascolti: maledendola, lo ha eletto. La sciagura, quando non passiva, è di gran pregio.
    Quella donna le ha dato una missione. Meglio maledetto che infelice, meglio morto che miserabile.


    Come chi tendeva la mano e aveva il pugnale nell'altra, come chi sfoggiava il sorriso di fiele e gli occhi di pietra, complimentandosi delle sue s-fortune Helia sottintendeva la veridicità delle sue paure, di fatto incatenandolo a quei fili che gli aveva annodato addosso poco prima, trionfando sulla sua miseria e banchettandone finché di lui non sarebbe rimasto che il guscio vuoto. La debolezza di Wulfric era ciò che lo avrebbe tenuto in ginocchio al suo altare, a chiedere un perdono che gli avrebbe concesso, una salvezza mediante il guinzaglio, una trappola dorata in cui avrebbe ritrovato il senso di se stesso.
    Quell'uomo non le chiedeva che una strada da seguire, e lei gliel'avrebbe mostrata, cosicché vi potesse avanzare zoppicando.

    Ma se vuole che io le tolga il peso, allora dovremo vederci più spesso.
    Ogni volta che aprirà quella porta, sarà come venire alla luce di nuovo.


    Ogni parola era un incrocio in più della tela del ragno che vischiosa vi ricadeva sopra, attaccandosi alle zampe e alle ali, e mediante la cattura lo elevava dai suoi dispiaceri, lo portava più in alto verso quel paradiso fittizio dal quale aveva pensato di esserne rigettato, lui che era abituato a strisciare sulla terra e a nascondersi tra i sassi. Il destino era infausto, ma lo srotolamento dello stesso aveva un che di poetico, steso a gambe e braccia aperte sulla terra come una figura vitruviana, replicando la sua rinascita ancora e ancora, di uno che non era nato mai, ed aveva vissuto anche peggio.

    Non la renderò né vivo, né morto.
    La renderò libero.


    Finì a posargli una mano sulla spalla, ora del tutto alta sopra di lui e dietro di lui, al di là dello schienale, una benedizione alternativa, un'iniziazione del prodigo figlio che era ritornato sulla retta via dopo aver sperperato le sue ricchezze, perduto e ritrovato, a bere il sangue del vitello grasso che per giubilo era stato sacrificato per lui.
     
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    Non avevo studiato le leggi magiche per potermi trovare lì, in quel momento, e riuscire a non sentirmi le mani grondanti di sangue. Perché, se solo avessi saputo prendere pienamente da tutto il campionario di casi e cavilli che la memoria mi metteva a disposizione, sarei riuscito a farmi assolvere persino da me stesso, con una facilità invidiabile a qualunque mio collega. Ma il punto era proprio l'accesso a quella biblioteca proibita alla parte più irrazionale di me, quella che di notte vedeva la morte passargli davanti in mille modi diversi e non prenderlo mai, ma qualcun altro, mentre la donna esplodeva in un urlo malefico lungo vent'anni e più, con un'eco inesauribile alle sue orecchie. Cioè alle mie, quando poi riaprivo gli occhi e a fatica riemergevo al mondo reale, prendendo l'aria a morsi come un naufrago che ritrova un tozzo di pane.
    E così, pur riconosciuto da chiunque, quando varcavo le soglie del quinto livello al Ministero, di fronte a questa voragine della mia coscienza restavo una persona spogliata di tutto, persino del suo mestiere. E più la strega mi prometteva salvezza, più tutto si faceva concreto, razionale, risolvibile, più mi sentivo un ridicolo segreto di un custode che per mestiere prendeva denaro. Un ninnolo esotico sulla sua mensola, pronto a solleticare la curiosità del primo di turno a passare di lì.

    Una missione.

    Wulfric era tutt'uno con la sedia, da qualche minuto ormai. Alternava sguardi fissi alla mentalista a occhi persi nel vuoto, lì dove riusciva a trovarlo incastrato tra i misteri di quell'antro. Ma non si muoveva, per un silenzioso timore di disturbare qualcosa, fosse anche solo la giovane donna, e rompere l'equilibro precario su cui si era accomodato con più disperazione che speranza. Ma poi era caduto vittima di un incantesimo, come troppo spesso gli era capitato in vita sino ad allora, e l'eco del suo passato turbolento e incomprensibile si era trasformata in qualcosa di nuovo, con fattezze mai conosciute prima.
    Ripeté la frase quasi come un rituale. Non avrebbe saputo dire se vi fosse stato un moto di energia improvviso, un barlume, o soltanto uno scatto meccanico, come uno sbadiglio riflesso.

    La renderò libero.

    Fu costretto a ripetere anche quell'altra frase, ma con un sorriso ispido e gli occhi che tornavano più asciutti sul reale.

    Potrei aver detto la stessa cosa a quella donna.
    Dev'essere così che girano gli ingranaggi.


    La considerazione amara si spense sulla mano che gli si posò sulla spalla. Un brivido gli saettò da lì alla base del collo, un viaggio brevissimo ma intenso.

    A volte credo di essere la mia stessa maledizione.
    Di esserne la causa, intendo.
    Ma anche di non essere altro che tutto questo.


    Wulfric si voltò per cercare lo sguardo della strega, come per poggiare di nuovo i piedi al pavimento. Si alzò e le si parò di fronte: vista così non era più gigantesca come quando gli parlava e lui se ne stava lì rannicchiato nella sua vergogna. Ma non la temeva di meno per questo.

    È sicura di sapere cosa fare di me?

    Si stava indurendo in fretta. Scrutò per un istante la sedia, quasi potesse addossarle la colpa di tutta quella fragilità, ora che se ne stava finalmente ritto nella sua dignità ritrovata.

    Dal canto mio, cercherò di non maledirla se fallirà.

    Il sorriso si accese più evidente, ma gli occhi tradivano una tristezza profonda. Però le porse la mano: forse era più giusto che si riducesse tutto a un accordo, un patteggiamento emotivo avrebbe osato, per rimettersi ai giudici, quali che fossero, senza avere addosso l'ombra di un sospetto a condizionarne la vista.
     
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    Lasciò che l'uomo parlasse a se stesso, la mano ancora sulla sua spalla, come un pazzo che non rusciva a raccapezzarsi del mondo, o un bambino che ripeteva le prime parole che la madre gli aveva insegnato, senza ancora conoscerne a fondo il significato, forse, ma essendo l'unica lingua che conosceva vi si aggrappava come se oltre alla vita Helia, la madre stessa, gli avesse donato anche la voce.
    Aspettò paziente e in silenzio, nessun muscolo che tradisse un'emozione diversa da quelle che erano già trasparite, nessun sorriso velato e magari intenerito sulle labbra gonfie per la creazione che. giaceva ancora accovacciata sulla sedia imbottita: anche le seguenti riflessioni le abbandonò a fluirsi come fiume inutile che iniziava un corso senza finire da nessuna parte, se non affogato nel mare, dove nessun mortale avrebbe potuto distinguerne le acque - e se pure esistevano persone speciali nel suo tempo, queste non vi avrebbero comunque dato una particolare attenzione.
    L'uomo era solo, come lo era lei, una coincidenza fatale che non possedeva alcuna accezione salvifica, chi lo era per circostanza, chi per scelta, chi di passaggio, chi vi nasceva e vi moriva, e come quegli ingranaggi che giravano così i loro cammini si erano incrociati, senza però illuminarli di alcun nuovo scopo rispetto alle già flebili iridescenze che ne irradiavano i ciottoli.

    È in ottime mani.

    Mormorò rauca, ben sapendo che di lui non avrebbe fatto nulla, ma avrebbe fatto lui, lo avrebbe plasmato a suo piacimento, gli avrebbe imposto come muoversi e cosa dire, come un burattino senz'anima, gli avrebbe regalato la missione che tanto anelava, lui che vagava per le strade come un'anima in pena senza paradiso, ma non gli avrebbe placato l'inquietudine anzi l'avrebbe fogata, inculcandogli comunque l'illusione di avere il potere - e la voglia - di smantellarla, così che si sarebbe fidato di lei, e l'avrebbe seguita dappertutto.

    La indosserei come un mantello.

    Sorrise sbieca per la prima volta dopo tanto tempo, quasi di rimando al suo, seppur quello fu solo un caso, e dopo qualche istante in cui rimirò la mano tesa verso di lei, allungò la sua per stringerla con sicurezza, e come in uno spaccato, o un simbolo antico, accanto a loro la figura di Persefone addentò il melograno succoso, rimanendo incatenata all'Ade per sempre.
    Quando il mago le fu alle spalle, Helia non si rimangiò alcune parole che avrebbero dovuto accompagnarlo lungo il suo tragitto verso casa, a risuonare per tutte le notti a venire.

    Ha trovato la sua strada.
    Non vacilli proprio adesso.


    [Ruolata chiusa]

     
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