Where the wild things are

Esterno Sala Comune di Grifondoro

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    Non aveva potuto davvero credere a ciò che era accaduto.
    Qualche giorno prima aveva lasciato la sua giacca della divisa ad Eunjoo e le aveva dato appuntamento l'indomani per farsela restituire. Una scusa per incontrarla ancora, certo, ma aveva dato per scontato che almeno la restituzione dell'indumento sarebbe andata a buon fine.
    E invece non soltanto era rimasto ad aspettarla nell'aula di Babbanologia per mezz'ora come un completo cretino, ma se n'era anche dovuto tornare in Sala Comune a bocca asciutta e senza giacca.
    Rintracciarla in Sala Grande nei tre giorni successivi era stato praticamente impossibile. Come se non bastasse, la coreana era diventata talmente sfuggente nei giorni seguenti al loro incontro che non era riuscito neppure a bloccarla alla fine di qualche lezione che avevano seguito assieme.
    L'epilogo di quell'incontro nei sotterranei si era dunque rivelato essere una vera e propria tragedia e se per giorni si era costretto a non piegarsi all'unica soluzione possibile a quel punto, dall'altra la necessità di farsi restituire il pezzo di uniforme l'aveva spinto a cedere.
    Avrebbe sempre potuto comprarsene un'altra, di giacca, ché quella che aveva abbandonato tra le mani della rosso-oro cominciava anche a stargli un po' stretta ad altezza spalle, ma ormai nella sua testa quella restituzione era diventata una questione di principio.
    Sarebbe arrivato lì da lei, offeso e piccato come non mai, pretendendo il capo d'abbigliamento, per poi andarsene senza rivolgerle più la parola, se non per quelle utili al suo scopo quel giorno.

    Le ho già detto che non voglio entrare. Sto aspettando che qualcuno venga fuori perché ho bisogno di parlare con una persona.

    Come da copione, la Signora Grassa presidiava l'ingresso alla Sala Comune di Grifondoro senza che un Serpeverde come lui potesse metterci piede. E lui, dal canto suo, non era neppure intenzionato a farlo.
    Era arrivato lì da una decina di minuti e, nervosamente appoggiato alla balaustra e con le braccia allacciate al petto, lanciava occhiate torve tutt'attorno in attesa che qualcuno uscisse o entrasse dall'alcova dei figli di Godric.
    Fu torcendo il capo verso la rampa di scale che portava al pianerottolo sul quale sostava che intravide un gruppetto di quelli che gli sembrarono primini, vestiti dei colori che più gli interessavano quel giorno, e si spinse a scollarsi dall'appoggio per andare loro incontro.

    Fate uscire Choe da là dentro?

    Non si degnò di salutarli né di introdursi né tantomeno di aggiungere un "per favore" come chiosa alla sua richiesta, che arrivò come una sottospecie di ordine perentorio che non sembrava ammettere repliche. In tutta risposta, i ragazzini lo osservarono come se fosse un essere appena giunto da un altro pianeta: sicuramente erano più preoccupati dal fatto di dover rivolgere la parola alla coreana che dal nervosismo del Serpeverde che avevano davanti.

    Entro domani, volendo?

    Come ridestatisi da un sonno profondo, i ragazzini sobbalzarono all'unisono, avviandosi immediatamente al cospetto della Signora Grassa che invitò loro a comunicarle la parola d'ordine bisbigliando, per evitare che quel losco figuro potesse udirli.
    Sbuffò sonoramente tornando dunque nella posizione che aveva occupato fino a quel momento e incrociando nuovamente le braccia al petto portando il tessuto della camicia a tendersi allo stremo addosso a lui.
    Avrebbe dovuto cambiare anche quella a breve.
    Si era accuratamente premurato di non far sapere chi è che stava cercando Choe lì fuori per timore che la ragazza sentendo il suo nome decidesse di non presentarsi, perché si era ormai convinto - dall'alto del suo onnipresente egocentrismo - che Eunjoo lo stesse evitando appositamente per dargli fastidio.
    Beata ignoranza.
     
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    Non poteva saperlo, ma non era stata una grande mossa quella di non annunciarsi ai primini così che non riferissero alla coreana, la quale sentendosi dire da un gruppo di ragazzini che un Serpeverde la stava aspettando fuori l'entrata della Sala Comune, tornò a barricarsi nel suo dormitorio, terrorizzata di poter vedere di nuovo gli occhi nocciola posarsi su di lei.
    Ma poi sentì per caso uno dei primini nominare un "quinto anno" di appartenenza e, sebbene non potesse chiedere loro chi fosse, perché non gliel'avrebbero detto seguendo altre istruzioni, o chi non fosse, perché si sarebbe rivelata troppo dopo un lungo lavoro durato cinque-sei mesi in cui nessuno o quasi aveva mai capito nulla su chi stesse frequentando e ormai era diventato anche inutile, le venne il dubbio che si stesse parlando di tutt'altra persona, così costrinse uno dei ragazzini a farne una descrizione più o meno approfondita. La sua irritabilità aveva raggiunto livelli inimmaginabili, quindi non fu troppo difficile farlo parlare, nonostante fosse stato ammonito dall'altra parte.
    Appena nominarono i capelli un po' arruffati e nessun segno di nota sulle mani, tatuaggi o anelli che fossero, e poi il fatto che fosse senza giacca per ovvi motivi, le ricordò qualcosa, o qualcuno che aveva bellamente abbandonato qualche giorno prima in Aula di Babbanologia, dove aveva proprio dimenticato di andare. Era il giorno dopo in cui tutto si era sgretolato, e a dire la verità aveva difficilmente lasciato il letto tutto quel tempo, se non per trascinarsi a lezione se non voleva beccarsi una nota.
    Pensando che fosse proprio Nathan, prima di raggiungerlo cercò in camera la giacca che aveva mollato su una sedia vicino la scrivania, la prese delicatamente e la ripiegò sul braccio, per poi avviarsi a capo un po' chino verso l'entrata della Torre.
    Da quando Nathan aveva mandato in missione quel gruppetto di ragazzini, a quando lei aveva finalmente fatto capolino con il quadro della Signora Grassa che si apriva per lasciarla passare, erano trascorsi non proprio cinque minuti, e forse per questo si sentiva un po' in colpa, oltre a vari altri motivi.
    Era vestita con una felpa col cappuccio lunga fin oltre la vita, e dagli orli sbucavano quelli della gonnellina a quadri che lasciava scoperte le gambe, a parte le lunghe calze che le arrivavano fin quasi alle ginocchia.
    Le dava fastidio mostrarsi in giro coi soliti vestitini, e anzi se avesse avuto un paio di pantaloni puliti avrebbe messo quelli, perché scoprirsi più del dovuto la disturbava. I capelli erano legati in due lunghe code meno pettinate del solito, entrambe ai lati della testa, legate da fiocchi a bambolina che erano stati il suo massimo sforzo per quel giorno.
    Voltandosi verso di lui prima di scendere quei pochi scalini notò con sollievo che fosse effettivamente il Lestrange: un sollievo breve, vista la faccia scura che si ritrovava, e non serviva tanta immaginazione per capirne il perché.
    Si avvicinò un po' esitante, passo dopo passo, con la giacca stretta al petto, e quando gli fu faccia a faccia, ma ancora a distanza di sicurezza, tese entrambe le mani verso di lui, porgendogli il tessuto che stavolta portava un po' del profumo di entrambi.

    Ecco. Mi dispiace, mi sono distratta.

    Disse a bassa voce, non riuscendo a trovare una scusa più convincente di quella.

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    Fatica: 1/4


    Edited by Eunjoo Choe - 19/4/2024, 20:26
     
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    Aveva la sensazione di essere su quel pianerottolo da un'eternità e più i minuti scorrevano più il suo nervosismo cresceva.
    Era praticamente immobile, ma i continui sbuffi che cacciava fuori dal naso denotavano una certa contrarietà che non era sfuggita neppure all'attenzione della Signora Grassa che, dopo una decina di minuti di attesa, gli propose addirittura di mettere in scena un assolo lirico solo per lui.
    "Per tirarla su di morale", aveva detto.

    No grazie. Apprezzo l'offerta ma sto benissimo così. Meglio il silenzio.

    Aveva tentato di declinare quella proposta, che gli era stata venduta come un'offerta che non avrebbe davvero potuto rifiutare, ma non c'era stato verso. Dopo qualche secondo di lagna, la paffuta signora aveva cominciato a strillare, letteralmente, trasferendogli addosso la stessa sensazione che avrebbe potuto provare udendo lo stridio di unghie su una lavagna.
    Non poteva di certo fare un buco nella tela posta a difesa della Sala Comune di Grifondoro, dunque si era limitato ad incassare la testa tra le spalle prima, per cercare di distendere il collo subito dopo. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente mentre cercava dentro di sé la calma necessaria a non mandare tutto all'aria, vestendosi di una pazienza che in realtà normalmente non gli apparteneva.
    Se non si fosse trattata di una questione di principio, infatti, avrebbe mandato tutto al diavolo già da tempo. Ma ormai era entrato in fissa con la necessità di chiarire la situazione, o farsi per lo meno restituire una giacca che in verità non avrebbe neanche più rimesso considerate le recenti difficoltà nell'indossarla.
    Slegò l'avambraccio destro dall'intreccio, portando le dita della mandritta ad allentare il nodo della cravatta verde-argento che si era fatto oramai quasi soffocante, dunque con un colpo di reni si scollò dalla balaustra per voltarsi e dare così le spalle alla Signora Grassa e, di conseguenza, all'entrata della Sala Comune.
    Ebbe giusto il tempo di piazzare i palmi aperti delle mani sulla pietra del ballatoio, che la voce del ritratto si spense ed un cigolio annunciò l'arrivo di qualcuno. Voltò il capo alla ricerca della figura della persona che stava per aggiungersi a lui e quasi si aspettava di vedere chiunque meno che la coreana, ma dovette ricredersi a quel punto.
    Era in procinto di voltarsi e farle una piazzata, ma decise di contenersi perché, dopotutto, quale caspita di diritto stava tentando di arrogarsi rinfacciandole il fatto di non aver accolto il suo invito ad incontrarlo ancora? Avrebbe solo dato l'impressione di essere un mezzo disperato e lui di certo non lo era.
    Preso dalla foga, non si concentrò sulle sue espressioni, andò piuttosto a fronteggiarla concentrandosi sulla giacca che l'altra andò a porgergli adducendo una scusa che gli avrebbe provocato una risata isterica in altre circostanze, ma non in quella.
    Le strappò letteralmente l'indumento di mano, ancora disattento in maniera imperterrita. Non si era neppure degnato di guardarla in faccia, cercando di lasciar trasparire tutta la frustrazione che provava nei suoi confronti e sembrava prontissimo ad imboccare le scale che l'avrebbero condotto verso il basso, nella direzione dei Sotterranei, se solo non fosse che una strana sensazione lo colse.
    La sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato lì attorno, qualcosa di irreparabilmente rotto.
    Si guardò attorno con fare circospetto, il busto parzialmente girato verso la tromba delle scale e fu solo a quel punto che si concentrò sul volto altrui, riscontrando di tutto meno che la persona con la quale si era intrattenuto qualche giorno prima.
    Restò talmente interdetto che fu incapace di muoversi dal punto in cui era, con la giacca trattenuta a mezz'aria ed un piede proiettato lontano da lì, ma non fece neppure un passo.
    Il primo impulso che avvertì fu quello di sollevare una mano e posarla sulla sua fronte per assicurarsi che non avesse una febbre da cavallo, ma per fortuna riuscì a trattenersi. Si accigliò visibilmente piuttosto, deglutendo lentamente mentre la scrutava con sospetto.

    È ok.

    No, non lo era.
    Ciò che era successo non avrebbe potuto essere più lontano di così da "ok", ma le parole vennero fuori prima ancora che il Lestrange riuscisse a calcolarle.
    La testa continuava a dirgli di spostarsi da lì e precipitarsi giù per le scale, ma per qualche ragione che non avrebbe saputo spiegare non lo fece. Abbassò piuttosto la giacca lungo il fianco destro, riportando le braccia a riposare ai lati del busto ed inspirando profondamente nel tentativo di darsi una calmata.
    Ché la sua furia a quel punto aveva perso di potenza, sostituita dal dubbio che qualcosa di strano si fosse fatto beffe della coreana.

    Ti hanno rifilato un veleno? Hai visto un fantasma con più questioni in sospeso degli altri?

    Avrebbe davvero voluto essere più delicato di quanto in realtà non fu e si morse la lingua come monito per non esserci riuscito.
    Non sapeva da che lato girarsi né che pesci prendere: non la conosceva abbastanza da sapere quale fosse il modo più appropriato per approcciarla mentre era in quella sottospecie di stato catatonico, perché solo di quello avrebbe potuto trattarsi visto che sembrava incapace anche solo di guardarlo in faccia.
    Eunjoo Choe gli diede l'impressione di essere il ricordo sbiadito di se stessa e la cosa non gli piacque affatto.

    Senti non preoccuparti per la giacca, devo comprarne una nuova in ogni caso. Questa neanche mi sta più ormai.

    Ché se c'era qualcosa a gravarle sul cuore e sulla mente, di certo non voleva aggiungere altro carico.
    Tornò in silenzio semplicemente perché non sapeva cosa aspettarsi a quel punto. L'ennesimo impulso fu quello di tenderle nuovamente la giacca affinché potesse utilizzarla per tornare ad impegnare le braccia, ma quell'idea gli sembrò talmente stupida che si ritrovò a stringere maggiormente la presa sul tessuto.
    Sollevò la mano libera, massaggiando distrattamente la nuca mentre attendeva una reazione qualsiasi da parte sua. Gli serviva una reazione per riuscire a capire come muoversi, ché se voleva evitare di fare la parte dell'elefante in un negozio di cristalli avrebbe fatto meglio a non muoversi né fiatare.
    Aveva bisogno di una reazione e, se solo Eunjoo avesse alzato gli occhi sul suo volto, avrebbe incontrato il suo sguardo che ormai, quella reazione, aveva cominciato a pretenderla.
     
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    Aveva sentito uno strano stridio provenire dal di fuori della Sala Comune, ma ne era quasi abituata, ché la Signora Grassa non faceva mistero di non essere la più silenziosa tra i quadri, anzi: però a differenza di molti altri era molto simpatica ed affabile, alle volte quasi materna, ed Eunjoo si dilettava in sprazzi di tempo libero a conversare con lei, a confidarle i suoi successi, farle vedere i bei voti, o parlare di piccoli pettegolezzi innocui. Entrambe erano molto simili tra di loro: la Signora Grassa era molto rigorosa nelle regole e le seguiva pedissequamente, e la coreana pure (un po' - molto - meno durante l'ultimo anno in realtà, ma comunque); ci teneva tanto al suo sonno di bellezza, infatti rimproverava in malo modo chiunque la obbligasse a svegliarsi nel pieno della notte o le prime ore del mattino dopo essersi magari nascosto da qualche parte per una scappatella amorosa, ed Eunjoo non poteva che appoggiarla; aveva un'amica, Violet, a cui raccontava tutto, ed entrambe si muovevano vivaci di quadro in quadro, così per passare il tempo e parlottare in pace, ovvero lo stesso modo entusiasta e un po' egoistico che aveva Joy di vivere la vita.
    Certo c'erano altre cose su cui non s'incontravano, ad esempio la Signora nel fine settimana beveva quantità di vino industriali dal vicino dipinto raffigurante una cantina di monaci, tanto da passare il giorno successivo pallida in volto, un cencio da buttare che parlava a monosillabi: Joy non aveva mai assaggiato nemmeno un goccio di una bevanda alcolica, e non capiva ancora perché gli adulti vi ci buttassero così felicemente se poi dovevano starci così male la mattina dopo.
    Nonostante le sue sbronze, la sua energia era uno specchio di quella della coreana, ed era carino avere qualcuno che tifasse per lei ogni volta che lasciava la Sala Comune per andare ad affrontare un'interrogazione o quando aveva un allenamento importante.
    Era da un po' però che evitava di fermarsi a parlare: nonostante le sue buone intenzioni, non sapeva intervenire al momento opportuno (proprio come Eunjoo, d'altronde), e ultimamente non mancava di farle notare quanto sembrasse sciupata, o quale Doxy avesse per la testa. Che ne poteva sapere lei, d'altronde? Non faceva altro che spettegolare, cianciare a voce alta e scolarsi litri di mosto fermentato, diventando un vero e proprio zombie per le ventiquattrore successive. Non avrebbe mai potuto capirla o condividere la sua missione, e soprattutto avrebbe cercato di farla desistere, ed Eunjoo non aveva bisogno di quel tipo di distrazioni.
    Quando uscì dalla grande apertura nel muro aveva smesso d'improvviso di cantare, e la coreana sperò con tutto il cuore che non la interpellasse e si facesse i fatti suoi, quando percorse con molta esitazione la distanza che la separava dal Lestrange. Aveva allungato entrambe le braccia e si stava quasi per piegare col capo in un inchino di scuse, proprio come si usava fare nella sua terra, ma il ragazzo le sottrasse la giacca di mano con una rapidità e stizza assolute, tanto da lasciarla per qualche secondo a reggere il vuoto davanti a sé, il volto che era una maschera di spavento, o così apparve almeno per qualche istante, in cui sussultò persino come un cerbiatto colto di sorpresa dal suono di uno sparo poco distante.
    Non la guardava nemmeno negli occhi, e sebbene fosse l'unico motivo per cui lei riuscì ad alzare lo sguardo su di lui, ne rimase afflitta e senza parole, senza riuscire a spiegarsi o a scusarsi in modo più decente, anche se in quel momento il suo sbaglio le sembrava inqualificabile. Non che non avesse mai fatto la maleducata o trattato male qualcuno, anzi, ma lui non lo meritava, ed era un peccato che fosse stato vittima di una serie di eventi che nemmeno lo riguardavano.
    Quando lo vide quasi darle del tutto le spalle e in procinto di affrontare le scale e sparire alla sua vista, allora abbassò il capo, sentendo un peso enorme nel petto che incominciò a gonfiarsi e sgonfiarsi a fatica, mentre torturava la punta delle dita e gli orli delle maniche che arrivavano fino alle nocche, pizzicandoli con le unghie.
    Ne aveva abbastanza di persone che se ne andavano, ma l'universo sembrava non aver finito con lei: lei aveva invece finito di contare le striature sul legno del pavimento? Quante erano? Cinque, sette, dieci... Se le avesse contate tutte in fretta sarebbe riuscita ad azzittire la voce interiore che le sibilava che tutti ce l'avevano con lei, oltre a scongiurare il fatto che potessero abbandonarla di nuovo in futuro. Di solito l'ansia scemava se contava le cose attorno a sé, se si lavava le mani in un certo modo, se allineava le pergamene ripetutamente.
    Stava ancora contando le linee sul pavimento quando si accorse che, in realtà, Nathan non se n'era andato: fu una realizzazione che la lasciò di stucco, perché non c'era ragione che fosse ancora lì - gli aveva dato la giacca giusta? - e poi parlò, e lei lo ascoltò muta, le labbra piene ancora un po' strette tra di loro.

    No, uhm...

    Una parte di lei rise a quella mezza battuta, ma aveva i lineamenti del volto congelati per poterli muovere ed effettivamente esprimere l'ilarità: avrebbe anche risposto con un'altra battuta magari persino più sagace, ma non le venne in mente nulla di intelligente, e quando finì di muovere gli occhi da una parte all'altra nel tentativo di cercare qualcosa di astuto, ormai il tempo era passato anche se lo avesse trovato.
    Era ormai arrivata a tirarsi entrambe le maniche della felpa oltre le nocche, coprendo quasi interamente le dita, e continuava a tirare nervosamente, senza riuscire a capire perché non riuscisse a scollarsi da lì, gettarsi nel suo dormitorio e chiudere la porta a chiave. Il cuscino aveva preso la sua forma, ed in un certo senso era bello poter essere uscita finalmente, ma il mondo fuori era così tanto cattivo e lei così tanto debole che non se la sentiva di affrontarlo.
    Ciò che non avrebbe potuto prevedere era che non fu propriamente capace di gestire nemmeno quell'insolita tenerezza da parte di Nathan, che non conosceva nemmeno da tanto: o forse non era quello, forse stava semplicemente usando una certa decenza da essere umano, ma per lo stato in cui si trovava lo trovò così dolce da commuoversi, anche se non aveva fatto niente.
    Il problema era che già ogni cosa la spingeva al pianto, figuriamoci quello, e si rizzò un po' sul posto quando percepì le lacrime spingere agli angoli degli occhi, tanto che tornò ad abbassare il capo per ricacciarle indietro.

    Mi dispiace di non essere venuta.

    Sussurrò, nel caso non lo avesse capito. Anche con lo sguardo basso, aveva impressa nella testa l'immagine del Serpeverde, e gli ultimi movimenti che aveva fatto, dallo scrutarla dubbioso allo strofinarsi la nuca, notando in quello strano replay che, in effetti, avrebbe avuto bisogno di cambiarsi anche quella camicia, che tirava un po' più del previsto. Era a causa degli allenamenti di Quidditch che lo avevano gonfiato così tanto, o stava solo crescendo? Però gli stava bene comunque. Se ci pensava, sarebbe stato difficile trovare qualcosa che non gli stesse bene.

    Non volevo farti arrabbiare.

    Aveva sentito come scottare i polpastrelli nel momento in cui le aveva strappato la giacca dalle mani, ma qualcosa di ugualmente caldo proveniva anche dalla voce del ragazzo, o forse era solo un'illusione. Anche il corpo lo emanava, o forse era solo lei che era diventata una stalattite di ghiaccio, quindi tutto il resto le sembrava bollire: tra l'altro, per trovarne conferma avrebbe dovuto sfiorarlo, ma il solo pensiero di approcciarlo la atterriva. I flash di quando era stato lui a ghermirla le arrivavano lontani, come facenti parti di un'altra vita.

    H-Hai lezione adesso?

    Trovò il coraggio di sollevare la testa e guardarlo di nuovo negli occhi, appena si fu assicurata che i suoi rimanessero asciutti, anche se non avrebbe saputo dire per quanto tempo. In più, la voce aveva tradito un piccolo tremolio, ma almeno ce l'aveva fatta: gli aveva dato la scusa per andarsene se avesse voluto, così anche lei avrebbe potuto ritirarsi nella sua stanza e vedere cosa farne di quell'ennesima giornata.

    SPOILER (click to view)
    Fatica 3/4


    Edited by Eunjoo Choe - 20/4/2024, 16:00
     
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    Era arrivato su quel ballatoio con un piano ben preciso e che aveva avuto l'intenzione di seguire senza eccezione alcuna, ma Eunjoo Choe sembrava incapace di smettere di stupirlo.
    Non soltanto gli aveva dato buca, lasciandolo talmente interdetto che i giorni seguenti a quello dell'incontro che le aveva proposto erano stati costellati da scariche di nervosismo che l'avevano tenuto teso per tutta la giornata, ma adesso la ragazza aveva assunto un atteggiamento così remissivo ed insolito che il Lestrange ebbe l'impressione di trovarsi al cospetto di un'altra persona.
    Era stato inizialmente attirato dalla personalità prorompente della coreana e adesso la strega che aveva davanti sembrava aver inghiottito l'orgoglio, trasformandosi in un'entità che il ragazzo stava facendo fatica ad identificare.
    Tuttavia, pareva totalmente incapace di spostarsi di lì, così come di scollarle gli occhi di dosso.
    Sembrava piccola, indifesa e mortificata - un po' troppo, a suo dire, se il problema era solo il fatto di aver ignorato il suo invito - niente a che vedere con quel piccolo petardo impazzito capace di far desistere dai propri intenti anche gli individui più coraggiosi.
    Con le braccia abbandonate lungo i fianchi, incassò non soltanto le sue scuse, ma anche quell'apertura da parte di lei nei suoi confronti che non fece altro che confonderlo ancora di più.
    Era arrivato lì con la convinzione che la Grifondoro non si fosse presentata in aula di Babbanologia soltanto per dargli fastidio e per spegnere così tutta la boria che aveva spinto il verde-argento a proporle quello che, a conti fatti, avrebbe potuto essere considerato una sottospecie di appuntamento.
    Il suo "Non volevo farti arrabbiare", dunque, assunse i connotati di un importante dettaglio che evidentemente gli stava sfuggendo.

    E allora perché non sei venuta?

    Se lo scopo non era stato quello di fargli saltare i nervi, la spiegazione a quella mancanza doveva essere ben riposta da qualche parte e lui aveva tutta l'intenzione di scovarla.
    A quel punto, aveva la fronte aggrottata e le palpebre lievemente abbassate sulle iridi scure, mentre continuava a scrutarla senza ritegno e ne osservava i palesi gesti fisici di chiusura - come quello di celare le mani alla vista - che man mano sembravano allontanarla sempre più dal punto in cui era, nonostante non avesse mosso un singolo passo.
    La sua successiva domanda lo colse dunque nettamente impreparato: Eunjoo dava l'impressione di volersi trovare ovunque meno che lì, ma piuttosto che congedarsi da lui gli aveva posto un quesito che gli sembrò talmente scollato dalla realtà da accentuare i dubbi di lui circa il suo stato di salute.

    Lo sai che oggi abbiamo il pomeriggio libero.

    Proferì quel fatto senza che il tono venisse macchiato dall'intenzione di rimproverarla o prenderla in giro per quella dimenticanza, tant'è che abbassò appena il collo con tutta l'intenzione di squadrarla meglio, inclinando anche il capo.
    Il suo sguardo sembrava quello di chi avrebbe voluto scavarle dentro.
    Tornò a parlare solo dopo una lunghissima pausa, durante la quale aveva sfruttato il silenzio nel quale si era chiuso per cercare di elaborare una strategia utile a venire fuori da quello che gli sembrava essere un vicolo cieco.

    Ok. Facciamo così.

    Tornò dritto con la schiena, espirando con forza mentre prendeva l'unica decisione che gli sembrò più plausibile in quel momento.

    Non devi dirmi cosa c'è che non va. E non dirmi che non c'è niente che non va, perché evidentemente qualcosa c'è, altrimenti adesso mi staresti prendendo per il culo in qualche maniera. Non mi interessa.

    Non era vero, ma Eunjoo non gli sembrava nella condizione di mettersi a chiacchierare per poi svelare i suoi segreti. Almeno non a lui che conosceva a malapena.

    Devo sistemare la coda della mia scopa, i miei ancora non si convincono a prendermene una nuova perché ho parecchie materie sotto il volto gli si accartocciò in una smorfia infastidita mentre proferiva quelle ultime parole, con il naso ad arricciarsi e le iridi a roteare verso il soffitto vabè, comunque... volevo approfittare del pomeriggio per farlo. Se hai da fare no problem, ma se mi dai una mano sei perdonata per avermi dato buca.

    E, in realtà, di tutto aveva bisogno meno che di una mano per dare una lucidata al manico della sua Comet 370, ma per qualche strana ragione che non avrebbe saputo come giustificare avvertì l'impulso di prolungare quell'incontro, quasi che lasciare Eunjoo da sola in quel momento avrebbe significato commettere un errore imperdonabile.
    Come se ignorare quella fiamma in procinto di spegnersi avrebbe compromesso ogni cosa.
    Aveva semplicemente pensato che darle uno scopo per muoversi di lì l'avrebbe aiutata a smettere di aggrovigliarsi le dita, lasciando venire fuori anche solo un piccolo barlume della ragazza che così tanto aveva catturato il suo interesse tempo prima.

    Ma non montarti troppo la testa, l'hai detto tu che sono "tanto carino". Sono nato proprio così: carino e magnanimo.

    E se Eunjoo avesse voluto incontrare i suoi occhi in quell'istante, non avrebbe fatto fatica a scorgere il modo in cui l'espressione sul suo viso si illuminava della spensieratezza di chi credeva di non avere nulla da perdere, ma soltanto tutto da guadagnare.
     
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    Non avrebbe saputo come rispondere alla sua prima domanda, o meglio non avrebbe potuto, e per svariati motivi: anche se ormai la loro storia era finita, o forse proprio per questo, aveva ancora meno senso che si sapesse in giro, così che la gente potesse sprecare i suoi pomeriggi in chiacchiericci sulla sua disastrata situazione sentimentale, tormentandola magari con insinuazioni fallaci o anche solo col suo nome accostato a quello dell'altro che sarebbero passati di bocca in bocca; in più, era in una fase estremamente delicata in cui non lo voleva né vedere, menché meno sentir nominare, nemmeno da se stessa, e non per niente era sparita dai radar dopo il litigio scoppiato nella Stanza delle Necessità qualche giorno prima.
    Le sue immagini e la sua voce, proprio come se fosse stato ancora lì accanto a lei, le bombardavano la testa e le facevano sanguinare le orecchie, e parlandone c'era il rischio che il suo fantasma prendesse ancora più forza e potere, finendo di schiacciarla del tutto; o magari avrebbe sortito l'effetto contrario, dando un minimo sbocco a quell'ammasso di malessere ed inquietudine che si accumulava sempre più nella gola e nello stomaco, privandola del sonno e della pace, ma non aveva i mezzi per capirlo, né la forza per affrontarlo.
    Lasciò cadere gli occhi nel vuoto e schiuse la bocca in cerca di una scusa banale da rifilargli, visto che citare una generale distrazione come poco prima non aveva sortito il suo effetto, ma non le venivano in mente che giustificazioni stupide e flosce, oltre al fatto che le sembrava che il suo cervello si fosse rallentato, derubato del suo ristoro notturno e di quantità di cibo adeguate, oltre che frastornato per tutte le ore che aveva passato a piangere nella sua stanza, da sola perché nessuno la vedesse, o pigiata al cuscino a soffocarne i gemiti perché nessuno la sentisse.
    Era tanto stanca e stordita, e sollevava e abbassava gli occhi più volte senza riuscire a tenerli fermi in quelli dell'altro come aveva fatto fino a qualche giorno prima, con un'energia e superbia che ora le sembravano sconosciute, distrutte, seppur quelle macerie venivano conservate da qualche parte, in attessa di qualcuno, o se stessa persino, se fosse tornata in sé, abile a rimetterne a posto i cocci.

    Oh.

    Lo sguardo si spostò di nuovo nel vuoto accanto al viso di Nathan, mentre cercava di capire che giorno e ora fossero, oltre a rendersi conto infine che, seguendo entrambi lo stesso programma scolastico avrebbero avuto entrambi il medesimo pomeriggio: la sua dissociazione stava raggiungendo livelli pericolosi, come anche la sua percezione del tempo, e senza dire nulla prese ad aggrovigliare con le dita una ciocca di una delle code che le arrivava oltre il petto, chiedendosi tra sé quanto tempo sarebbe mancata a se stessa, prima di ricongiungersi.
    Nathan intervenne di nuovo per strapparla da pensieri in cui si sarebbe nuovamente persa, distaccandola dal presente: corrucciò lo sguardo alla severità dei suoi genitori che assomigliava tanto a quella dei suoi propri, che pure le avevano negato una scopa decente finché prima non avesse preso tutte E in ogni materia del suo piano scolastico. Non era importato loro che la finale fosse alle porte, dichiarando che fosse sua cura arrivarci prima che iniziasse la partita, cosa che per miracolo era riuscita a fare.

    Tu padre dovrebbe capirti.

    Mormorò contrariata, conoscendo a grandi linee la passione per il Quidditch che infuocava non solo Nathan, ma anche altri membri della sua famiglia, tanto da farne una tradizione: nemmeno a quel punto erano in grado di chiudere un occhio ben sapendo che il Lestrange si allineasse perfettamente alle aspirazioni che padre e nonno e così via avevano avuto prima di lui? Sbuffò dal naso, piccata: alcune volte era uno strazio essere nati Purosangue.

    Ti posso aiutare con qualche materia, una volta di queste.

    Sarebbe forse stato controproducente aiutare quello che era l'avversario, permettendogli di ottenere una scopa migliore, ma quell'anno in ogni caso non avrebbero giocato, e quella che stava accadendo al Serpeverde era un'ingiustizia bella e buona, o così la vedeva lei, in quel momento molto sensibile al tema anche se per altri motivi. Sorrise con le labbra un po' strette alla successiva proposta, e non perché non le avesse fatto piacere: la muscolatura delle guance sembrava aver dimenticato come contrarsi per formare qualsiasi altra cosa che non fosse una maschera del pianto, ma quel primo tentativo riuscì persino abbastanza bene, con la fossetta che scavò un angolo della guancia destra nel gesto.

    Ti è rimasto impresso?

    Sorprendentemente il sorriso si allargò ancor di più a quelle parole, spinto forse dal bagliore negli occhi di Nathan che avevano un che di rassicurante, anche se la voce interna continuava a strigliarla nei modi peggiori, dicendo che avrebbe fatto meglio a rintanarsi nella sua stanza, che non era presentabile, che l'avrebbero trovata ridicola se fosse andata in giro in quelle condizioni, e che la camera in penombra fosse l'unico vero rifugio da un mondo cattivo che non vedeva l'ora di sbranarla.
    C'era però una piccola parte ancora viva in lei che aveva così bisogno di calore umano che nemmeno lo stato dei suoi capelli avrebbe potuto farla desistere dall'aggrapparsi alla proposta del Lestrange come fosse una boccata d'aria dopo una lunga apnea - anche se stava per riuscirci, tant'è che il sorriso tremò d'incertezza per qualche istante.
    Sollevò un tallone verso il ragazzo e già così ruppe quell'equilibrio statico che la voleva incollata al pavimento, se non affondata: raggiunse l'apice delle scale e si voltò per controllare che le stesse affianco, ché per qualche motivo si sentiva troppo spoglia per scenderle da sola.

    Di che scopa si tratta? Da quando ho preso tutte E i miei hanno detto che posso prendere quella che voglio.
    Però non so decidere tra Nimbus Z o Firebolt Mayor.


    Sebbene a primo impatto, tra tutti i discorsi che poteva scegliere, quello poteva apparire come il più indelicato, visto che il Serpeverde aveva appena finito di esprimerle tutta la sua frustrazione, il tono della voce era così soave, sottile, quasi fiabesco, che avrebbe più teso ad intenerire, che a far ribollire l'irritazione. Non era un vantarsi smaccato delle sue possibilità, quanto più una domanda genuina per cui gli chiedeva anche un parere - oltre ad essere l'unico argomento facile a cui poteva appigliarsi in quel momento, nello sforzo di spiaccicare almeno qualche parola in più.

    Altre sono veloci ma poco resistenti, non so se per il nostro ruolo vadano bene.

    Mentre intraprendeva gli scalini, che avrebbero probabilmente cambiato direzione presto a meno che non fossero stati molto fortunati, ché dalla Torre dei Grifondoro ne passava di strada, si chiese per un attimo come avrebbe potuto affrontare una finale in quello stato, quando aveva paura anche solo di camminare e farsi vedere in giro, figurarsi a cavallo di una scopa, con tutti gli occhi delle tribune puntati su di lei.
     
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    L'ostinazione della coreana a non volergli chiarire i motivi che l'avevano tenuta lontana dall'aula di Babbanologia non poteva che dargli da pensare. Che motivo poteva mai avere la ragazza di non chiarirgli la situazione?
    Lui, dal canto suo, avrebbe accettato qualsiasi risposta - magari piccandosi, certo - senza esagerare nella reazione, poiché ormai era abbastanza chiaro che avesse deciso di restare. Il mistero attorno a tutta quella situazione, ad ogni modo, lo fece convincere del fatto che c'era dell'altro sotto che la Choe non aveva voglia di rivelargli e per il momento avrebbe dovuto farselo andar bene.
    D'altro canto, gli sembrava che la Grifondoro avesse questioni rilevanti che la tormentavano, altrimenti inspiegabile sarebbe stata anche la sua dimenticanza circa i programmi per quel pomeriggio. Eunjoo era una delle studentesse più brillanti dell'intera scuola, sempre e costantemente sul pezzo, quella défaillance non poteva che essere figlia di un disagio di altra natura.

    Dice che è proprio perché mi capisce che per adesso non dovrei allenarmi su una delle scope migliori in circolazione. A meno che non dimostri di saper conciliare studio e allenamenti.

    Non sembrava estremamente convinto di quel passaggio, anche se non poteva far altro che fidarsi dell'esperienza di suo padre in merito. Non mancò di accigliarsi mentre tentava di giustificare i suoi genitori, sospirando e stringendosi nelle spalle larghe subito dopo. Il concetto di "sacrificio" non era mai stato di facile comprensione, non per lui che aveva sempre avuto dalla vita tutto ciò che desiderava con semplicità disarmante.

    Prima di tutto mi ha detto che se non riesco ad avere una media decente, significa che una volta fuori da scuola non riuscirò a sostenere il ritmo degli allenamenti di una squadra della lega.

    Il ragazzo, dal canto suo, credeva di avere tutto ciò che serviva per riuscire a farlo. Tuttavia, era molto semplice - specie a quell'età - peccare di megalomania, dunque seppur lui non se ne avvedesse, era soltanto un bene che Magnus Lestrange tenesse a bada la sua spocchia.

    E secondo, dice che se imparo a dare il meglio su un manico di scopa vecchio, o comunque meno performante rispetto a quelli nuovi, allora immagina cosa sarò in grado di fare su una Thunderbolt 7.

    Abbozzò un sorriso poco convinto, sciorinando quel discorso che gli era stato evidentemente inculcato dall'adulto; un sorriso che tuttavia si ampliò nel momento in cui l'altra si offrì di aiutarlo a studiare qualche volta.

    Se hai la pazienza di una roccia...

    Era molto raro che Nathan Lestrange si mostrasse autocritico a riguardo di qualunque cosa, ma il suo rendimento scolastico era uno di quegli aspetti della sua vita dei quali era molto consapevole. Sapeva di non essere uno stupido, ma sapeva anche di non avere voglia di "perdere tempo" con la testa sui libri sottraendo ore preziose all'allenamento.
    La strada che immaginava per se stesso era molto chiara e gli studi teorici non l'avrebbero aiutato a volare più veloce o ad imprimere più potenza nel lancio di un Bolide.
    Si ritrovò ad avvertire un certo senso di sollievo nel momento in cui Eunjoo non soltanto tornò a sorridere, ma infierì alla sua stoccata, seppur in maniera abbastanza pacata rispetto all'atteso. Decise in maniera immediata di insinuarsi in quella minima crepa che riuscì ad intravedere, sollevando il sopracciglio destro in una smorfia impertinente.

    Se vuoi posso farti una lista completa delle cose che mi sono rimaste impresse di te.

    Fu in maniera totalmente inconsapevole che assestò quella carezza all'ego altrui, senza sapere quanto Eunjoo ne avesse probabilmente davvero bisogno in quel momento e non necessariamente da lui. Rimase con gli occhi incollati alla sua figura in attesa di percepire anche la minima reazione alla sua provocazione, ma non si ribellò in alcun modo nel momento in cui la rosso-oro cominciò a precederlo giù per le scale.
    Inspirò profondamente, cercando di trattenere la soddisfazione che aveva cominciato a provare per essere riuscito a convincerla a seguirlo ed evitare che questa sfociasse prorompente sul suo viso, limitandosi dunque ad affiancarla in quella lunga discesa.

    È la Comet 370 di mio padre. La usava anni fa quando ha cominciato a giocare nei Ballycastle. Devo sistemarla spesso, ma va ancora discretamente, anche se io sono più pesante di quanto non fosse lui alla mia età.

    Era incredibile la padronanza concettuale che aveva a riguardo delle scope - e del Quidditch in generale - rispetto a tutto ciò che riguardava la scuola. Se si fosse impegnato allo stesso modo negli studi, probabilmente non avrebbe faticato a diventare Caposcuola al suo ultimo anno.

    Per lui andava di lusso perché giocava molto in picchiata. Essendo abbastanza leggero gli serviva per imprimere più forza nei colpi.

    Mentre procedeva, non mancava di cercare di raccogliere lo sguardo altrui nel proprio occhieggiandola in tralice per assicurarsi che la ragazza stesse seguendo il discorso.
    L'espressione che mise su dopo le avrebbe lasciato intuire il modo in cui si stava concentrato per dare una risposta esaustiva al suo dubbio.

    Dipende dal tuo senso dell'equilibrio. Considerata la tua altezza e il tuo baricentro basso anche una Nimbus Z potrebbe andare bene. Se hai dei riflessi infallibili, comunque, ti consiglierei la Major, anche se dipende dal tuo stile di volo. Se preferisci stare in costante movimento, piuttosto che fermarti per studiare la situazione allora confermo la Major.

    Con quella sua arringa sembrava capace di poter prendere le redini di Accessori di Prima Qualità per il Quidditch, tuttavia non c'era la minima traccia di superbia nel suo tono. Il suo voleva essere in consiglio ponderato e in quel frangente non aveva neppure preso in considerazione che l'anno successivo si sarebbe trovato a fronteggiarla in campo.

    Com'è che hai deciso di giocare a Quidditch?

    Domandò dunque, evidentemente incuriosito dalla questione, mentre le labbra gli si piegavano nel sorriso intimo di chi sembrava apprezzarla per quel suo essere vicina al suo sport del cuore.

    [Campo da Quidditch]

    Preferisco le setole di bambù perché sono più gestibili, quelle di saggina ogni volta mi si spezzano tra le mani.

    Era ormai trascorsa una buona mezz'ora dal momento in cui avevano abbandonato le porte di Hogwarts per appiedare presso il Campo da Quidditch ed era stata con estrema cura e precisione che il Serpeverde aveva imbracciato un paio di forbicione di ferro per sistemare la coda della sua Comet 370, riposta su di un piedistallo a sua volta sistemato su un tavolaccio nei pressi dell'esterno degli spogliatoi.

    Direi che ci siamo.

    Declamò in ultimo, poggiando le forbici sul tavolo ed agguantando uno strofinaccio con il quale ripulirsi le mani dalla polvere, spostando in ultimo gli occhi scuri sul volto di Eunjoo alla ricerca del suo sguardo.

    Voliamo? Guidi tu.

    E fu perentorio il modo in cui mise in chiaro come sarebbero state le cose: lei al comando, lui dietro di lei. Avrebbero volato e l'avrebbero fatto insieme, senza distrazioni.
     
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    Ascoltò la spiegazione del punto di vista dei genitori Lestrange senza interrompere, annuendo ogni tanto, e più Nathan parlava più sembrava far vedere di aver fatte sue una serie di regole e principi di cui si era lamentato l'attimo prima, a dimostrazione del fatto che un'educazione del genere veniva inculcata nelle loro teste ed a quel punto era molto difficile da sradicare: Eunjoo si immedesimava molto, al punto da sentir quasi parlare i suoi stessi genitori, che le avevano fatto una ramanzina molto simile quando le avevano rifilato la sua prima Swiftstick, almeno non di seconda mano.

    Ce la sanno vendere proprio bene.

    Che fosse vero o meno, che solo con tanto sacrificio e sudore della fronte si potessero ottenere tutte le cose, anche quelle non correlate tra loro (aveva infatti qualche dubbio sul fatto che prendere bei voti avrebbe insegnato al ragazzo la disciplina nel campo dello sport), sia lui che lei avevano finito per crederci, anche perché non potevano ribellarsi più di tanto. Erano anche entrambi figli unici, dunque sentivano probabilmente tutt'e due sopra di loro il peso delle aspettative e di portare in alto il nome delle loro famiglie, che nel caso del Serpeverde era ancora più prestigioso, almeno in Inghilterra.

    Io non sono mai andata a vedere dal vivo una partita della lega.

    Esclamò ad un certo punto, con un tono di voce quasi sognante, come se fosse scesa dalle nuvole, che era un po' l'atteggiamento che adottava di più ultimamente: distratta, non presente a se stessa, rispondeva in ritardo alle domande o non le ascoltava proprio, estraniata quasi del tutto, con gli occhi vacui che non sostenevano più alcuno sguardo.
    Alle volte si chiedeva quando sarebbe giunto il giorno che quella strana coltre pesante come un mantello troppo spesso le si fosse levata di dosso, permettendole di camminare ritta come una volta, invece che schiva e sfuggente, timorosa di incontare qualche occhiata di troppo.
    La proposta di aiutarlo a studiare venne accolta da Nathan il quale parve volerla avvertire che non sarebbe stata una sfida facile, d'altra parte com'era lui lucido su certi spigoli del suo carattere, più che mai lo era anche lei.

    Ho solo preso la cocciutaggine dalle rocce, mi sa.

    Della serie, se si metteva in testa di fare qualcosa alla fine lo faceva, anche se questo avesse dovuto riflettersi su qualcun altro, in particolare il rendimento scolastico del Serpeverde che, volente o nolente, in qualche modo, si sarebbe dovuto piegare alle sue insistenze. Parlando sempre di rocce, probabilmente le aveva tirate anche addosso a qualcuno, in quella che sembrava una vita precedente, ma quella era un'altra storia che non valeva al momento la pena di essere tirata fuori.
    La provocazione che le appioppò dopo trovò un terreno molto più soffice di quanto sarebbe stato normalmente, perché in quel momento credeva di non meritarsela, e dunque la lusingò un po' più del dovuto, anzi, lo rivelò in modo più evidente laddove in altre situazioni avrebbe cercato di nasconderlo il più possibile.

    Stupido.

    Disse abbassando il capo sul concludere di una piccola risata soffusa che le aveva disteso gli angoli delle labbra, un po' a celare quell'intimo compiacimento che era però già abbastanza chiaro. La Joy baldanzosa avrebbe sbottato un "Ah sì, prego", aspettando che l'altro snocciolasse effettivamente tutta la serie di cose che aveva trovato degne di nota sul suo conto, ma mentre quella parte di lei si leccava ancora le ferite in un angolo recondito dell'anima, il lieve risolino fu tutto ciò che la sua autostima distrutta fu in grado di lasciarsi scappare. Non ci pensava nemmeno a ricambiare, improvvisamente più introversa, con le code lunghe che nascondevano in parte il leggero rossore sulle guance mentre scendeva le scale a capo un po' chino.

    Ah, ma allora può portarti fortuna.

    Pensava che fosse una scopa qualunque, invece era la scopa che aveva usato proprio suo padre, il che rendeva le pretese del vecchio mago ancora più giustificate di quanto già non fossero, anche solo perché era lui stesso l'esempio vivente di come si dovesse partire dal basso, prima di ambire subito a strumenti eccezionali utili soprattutto a soddisfare il proprio ego.
    Con la coda dell'occhio notò l'espressione assorta di chi era davvero concentrato per rispondere alla sua domanda, senza dare il minimo segno di essersela presa, e se da una parte quello la sollevò, dall'altra pure apprezzò di essere stata presa seriamente, anche perché il suo dubbio era reale e un po' di aiuto esperto le avrebbe fatto comodo.

    Interessante, ne sai di queste cose. Allora forse la Mayor.

    Se i soldi non erano un problema, c'era solo da scegliere con cognizione di causa la scopa migliore da prendere per il suo ruolo, senza voler strafare, ed il suo annuire fu un segno che avrebbe preso in grande considerazione i consigli del Lestrange, anche se ora come ora non aveva molta voglia di andare a fare shopping a Diagon Alley.

    In realtà sono stati i miei a spingermi, perché la vedevano come una papabile attività extra-curriculare di loro gradimento con cui avrei potuto renderli fieri mentre ne avrebbero parlato all'aperitivo coi loro amici.

    Il tono di voce un po' trasognato si sporcò di un pizzico di stizza, ché l'ossessione per la perfezione era una croce che forse si sarebbe portata dietro sempre, e che sarebbe uscita fuori ogni qualvolta non sarebbe stata abbastanza forte da richiuderla in fretta nel buco dov'era risorta, ovvero proprio come stava succedendo da un mese a quella parte. I suoi genitori brillavano anche tramite lei, questo lo aveva capito da un bel po' di tempo, e quando ne parlavano bene con i loro amici o con il resto della famiglia non era mai un modo spontaneo per gratificarla di fronte agli altri, piuttosto era il loro modo per autocomplimentarsi e ricevere lodi da chicchessia: una specie di narcisismo fatto a cultura, in cui la figlia era solo un prodotto delle loro magiche proprietà genitoriali, non un essere umano con pregi e difetti, e per cui il suo successo o le sue sconfitte non impattavano tanto sul suo futuro, piuttosto avrebbero rischiato di far sfigurare loro, e questo non era accettabile.

    Non credevo mi piacesse volare e non mi allettava l'idea. Ho incominciato ad allenarmi seriamente solo alla fine del mio quarto anno, Christian Carrington mi ha aiutato.

    D'istinto, si voltò per cercare il suo sguardo come a volersi assicurare che sapesse di chi stesse parlando: non aveva molti dubbi però, Carrington era uno dei ragazzi più popolari a scuola e sarebbe stato strano per lui non conoscerlo, oltretutto faceva parte della sua stessa Casa. Forse sarebbe apparso un tentativo di vanto ostentato, la storia che avesse imparato a stare sulla scopa in qualche mese, per poi giocare da titolare subito l'anno scolastico successivo, ma era proprio ciò che era successo.

    E poi alla fine mi è piaciuto. A Quincy, di Corvonero, un po' meno.

    Stiracchiò un mezzo sorriso, ricordando come alla partita scorsa si fosse gettata sopra il povero Corvonero con l'intento conclamato di fare fallo ed impedirgli di battere il Bolide con tutta la potenza dovuta, riuscendoci: il ragazzino l'aveva inseguita con una serie di improperi poco ripetibili, ma tutti dimenticabili dato che alla fine avevano vinto la partita.
    Non si era nemmeno accorta di aver fatto una battuta, cosa non scontata visto il suo stato, ma evidentemente per qualche ragione si sentiva un po' meno incatenata da pensieri ostili, il petto un po' più leggero.

    [Campo da Quidditch]



    Aveva osservato con occhio attento tutti i movimenti del Serpeverde che si occupava dell'estremità della scopa, passando senza troppe remore alle setole che venivano spuntate, alle mani che le tenevano ferme e che imbracciavano le forbici, alle vene delle braccia che si gonfiavano nel momento in cui irrigidiva di più il muscolo, fino al viso concentrato e la fronte corrugata su cui i riccioli cadevano. Non lo faceva con l'intento di essere volutamente provocatoria o insistente, ma quasi che ne avesse diritto e basta, come se fosse una normale conseguenza dell'aver scelto di averla lì senza occuparla in qualcosa di ugualmente fisico. Girava attorno a lui e attorno al tavolo, con passo cadenzato e calmo, appoggiandosi ogni tanto con la schiena al muro e le mani dietro nascoste, lasciando vagare lo sguardo solo di poco nell'area circostante, prima di posarlo di nuovo sul ragazzo.
    A strapparla da quello stato di stana pacatezza ci pensò lui che tornò in piedi e le buttò lì una proposta che sembrò ottenere l'opposto di tranquillizzarla, a giudicare dagli occhi che sgranò di rimando e la bocca schiusa in segno di protesta che però non esalò alcun suono. Addirittura allargò le braccia come a chiedergli "perché mi fai questo?" e poi gli occhi corsero a constatare quanto il suo abbigliamento, con la gonnellina che sbucava da sotto la felpa larga, fosse quanto meno adatto possibile a una scampagnata in sella a una scopa.
    Stava già per cercare di farsi venire in mente le scuse più blande per fuggire e tornarsene in camera, voltandosi da una parte all'altra come se un dettaglio a caso di quel luogo le potesse suggerire qualcosa di intelligente, ma qualcosa le diceva che se ne sarebbe pentita amaramente: alla fine, abbassando le spalle in segno di resa, e un ultimo sguardo al tessuto della gonna che faceva capolino, piegò il capo tutto all'indietro lasciandosi andare ad un sospiro arrendevole, prima di rimettersi dritta e strisciare i piedi verso lo spogliatoio.

    Fammi cambiare un attimo.

    Bofonchiò, senza che quella pausa le prendesse troppo tempo: non aveva voglia di fare grandi cose, solo di cercare un paio di pantaloncini corti che potessero farla sentire più sicura e insieme aderire sotto la gonna, dandole un minimo di libertà di movimento in più, e poi tornò non proprio saltellando verso la scopa ancora posta sul tavolo, che richiamò semplicemente tendendo il braccio verso di essa, attirandosela nel pugno dopo averla guardata a malapena.
    Una volta in campo, la scavalcò mettendosela tra le gambe, un'occhiata torva al Serpeverde che avrebbe aspettato perché si posizionasse dietro di lei, non prima di avergli sbatacchiato l'indice vicino al viso per ammonirlo.

    Non fare alcun movimento brusco o perderemo l'equilibrio.

    Non sapeva quanto fosse effettivamente resistente quella scopa e ci mancava solo che precipitassero rompendosi qualcosa: stranamente, comunque, anche un braccio rotto sembrava più allettante dell'ennesima giornata in solitaria in camera sua, quindi nonostante il tono un po' contrariato non era così infastidita come voleva far credere.
    E questo lo si poté notare quando, una volta che il ragazzo avesse preso posto dietro di lei, la scopa si librò in aria con leggermente più fatica di quanto avesse previsto, per poi sì prendere quota più con scioltezza: ma il pensiero che si stesse per ingolfare, che avesse singhiozzato verso l'alto per qualche centimetro per poi capicollare di nuovo a terra sotto il loro peso la sfiorò per un attimo, facendola scoppiare in una mezza risata che non riuscì a trattenere.
    Quella fu dapprima gutturale, a labbra serrate ma piegate in un sorriso, ad immaginarsi la figura meschina, per poi liberarsi e divenire più cristallina e squillante.

    Quindi questo era il tuo piano per farti comprare una scopa nuova dai tuoi genitori.

    Lo richiamò un po' ad alta voce per contrastare le zaffate di vento, girandosi ad adocchiarlo da sopra la spalla, l'occhiata furba che sapeva avere il sapore di un tempo.
     
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    L'espressione palesemente scioccata che si dipinse sul suo viso nell'udire come Eunjoo non avesse mai assistito ad una partita di lega la diceva lunga circa la passione viscerale del Lestrange per lo sport in questione.
    Gli sembrava impossibile che un individuo dotato di poteri magici non avesse mai presenziato ad uno sconto sportivo di quel calibro, quindi non riuscì a fare a meno di sbarrare le palpebre tirando anche un po' indietro il capo rispetto al collo, neanche avesse appena visto un alieno.

    Ma sei seria?!

    Evidentemente retorico in quella sua ricerca di conferme, lasciò schioccare la lingua sul palato scuotendo anche piano il capo in cenno di dissenso, socchiudendo le palpebre sugli occhi. Ci mise un po' a riprendersi da quel colpo, tornando vispo un attimo dopo, pronto a lanciarle l'ennesima proposta.

    Di solito d'estate giocano delle amichevoli di lega, mio padre ha sempre i biglietti gratis. Ha preso dei posti per l'amichevole tra Ballycastle e Cannoni, volevamo fare una specie di sorpresa a Venetia Prewett, se vuoi venire posso procurarmi un biglietto in più.

    Non ebbe alcun problema nell'estendere quell'invito anche ad Eunjoo per il semplice fatto che quell'idea, in realtà, era stata di suo padre piuttosto che sua. Ignaro dei reali motivi che avevano spinto Magnus a mettergli in mano quei biglietti, accolse di buon grado l'ipotesi di accompagnarsi alle due Grifondoro, senza considerare minimamente il fatto che suo padre non avrebbe probabilmente gradito la presenza della coreana. E non perché si trattasse di lei nello specifico, quanto perché aveva in testa un piano ben più grande per suo figlio e la rossa.
    Il verde-argento, dal canto suo, sembrava invece molto focalizzato sulla ragazza che aveva davanti, tanto da scrutarla con aria fin troppo attenta dopo averle lanciato l'ennesima, sagace provocazione alla quale l'altra risposte con una docilità che lo divertì e lo incuriosì al tempo stesso.
    Qualcosa di importante sembrava essere drasticamente cambiato in lei, ma non avrebbe saputo dire come né perché. E avrebbe volentieri cominciato ad enumerare tutto ciò che di lei aveva catturato la sua volubile attenzione, ma davanti alla sua cedevolezza decise di non insistere.

    Io non ho parole. Ma c'è qualcosa in cui non sei brava?

    Adoperò il tono fintamente esasperato di chi non poteva credere alle sue orecchie - mentre ormai si accompagnava all'altra giù per le scale - in risposta alla notizia del fatto che Eunjoo in realtà non era appassionata di Quidditch, ma giocava perlopiù perché costretta.
    E ci giocava anche bene.

    E chi se lo scorda!

    Fu con quell'esclamazione a riguardo del "piccolo incidente" con Quincy, accompagnata da una risata ampia e profonda, che si inoltrò ancor più nelle profondità del castello, non mancando di scrutare attentamente ogni singola espressione di lei nel tentativo di paragonarla al ricordo di quella che era stata Eunjoo Choe durante i loro incontri precedenti.
    Qualcosa di lei era ancora riconoscibile, aveva soltanto bisogno di una piccola terapia d'urto per venire fuori.

    [Campo da Quidditch]

    La maestria e la delicatezza con la quale si occupò della sua scopa lasciava intendere quanto fosse capace di pacatezza e garbo, quando lo voleva lui. Aveva usato tutta la pazienza del mondo per sistemare ogni singola setola della coda della Comet 370; la stessa pazienza che non fece scendere in campo nel momento in cui la Grifondoro lo abbandonò lì da solo per andare ad indossare indumenti che le rendessero comodo il volo che lui aveva deciso di fare.

    Guarda che non è che c'è il pubblico di sotto che ti guarda eh. Ma comunque...

    Non perse l'occasione di prenderla in giro, cominciando a seguirla dopo che l'altra ebbe appellato magistralmente la scopa. Prima ancora di montare dietro di lei, sollevò il sopracciglio destro piegando anche le labbra in un mezzo sorriso scettico e divertito, arretrando appena col capo nel tentativo di evitare che il suo indice arrivasse a sfiorargli il naso.

    Signorsì signora.

    Non assunse alcuna posa militaresca mentre la prendeva palesemente in giro, andando ad infilarsi dietro di lei sul manico della Comet, agganciando prepotentemente la mano sinistra tra il corpo di lei e le sue mani, mentre la gemella si agganciò al suo bacino in una presa salda, ma senza risultare esagerata. Si sporse in avanti, facendo aderire il proprio torace alla sua schiena, cercando la stabilità corretta affinché diventassero quasi una figura sola, così da evitare di creare vuoti d'aria che, in volo, avrebbero potuto creare qualche problema.

    Quando vuole...

    Fece giusto in tempo ad esortarla che la scopa si librò lentamente in aria. Conosceva a menadito il proprio manico di scopa e sapeva perfettamente quanto performante potesse essere con le giuste accortezze. Tuttavia, non diede suggerimenti, limitandosi a studiare il modo che Eunjoo aveva di destreggiarsi con il mezzo ora a sua disposizione.
    Era cresciuto con un dettame inculcatogli da suo padre che sempre cercava di seguire, sia in partita che in allenamento: "la scopa può sentirti".

    Guarda che non si spezza eh, se continui ad avere paura di cadere non andremo mai più veloci di così.

    Aveva imparato nel tempo che la sicurezza nella guida della scopa faceva il novanta percento del gioco, quindi non c'era ombra di rimprovero nel suo tono, solo un consiglio spassionato nel modo di rapportarsi con il suo manico di scopa. Tirò appena indietro il capo nel momento in cui percepì l'intento della rosso-oro di voltarsi per incontrare i suoi occhi e non ci pensò due volte nell'affondare lo sguardo in quello di lei, sorridendole dapprima soddisfatto per il lavoro che aveva fatto fino a quel momento.
    Almeno fino a quando il sorriso non si trasformò in un ghigno che non prometteva assolutamente nulla di buono.
    Erano infatti abbastanza in alto per potersi permettere una manovra che probabilmente Eunjoo, preoccupata com'era per la stabilità della Comet 370, non avrebbe mai azzardato.

    No, era questo.

    Fu un attimo e la mano che aveva tenuto fino a quel momento su di lei scivolò ad incontrare la gemella sul manico della scopa. Scaricò tutto il peso del corpo in avanti, contro di lei e verso il basso, frizionando le gambe contro quelle della coreana così da imprimere la massima forza nel mezzo che volle a quel punto far precipitare in picchiata verso il basso.
    Strinse le braccia attorno al busto di lei, nel tentativo di tenersela stretta addosso e cercare di infonderle un po' di sicurezza e stabilità, anche se a nulla sarebbe servito quel tentativo nel momento in cui con un colpo d'anca volle far compiere un giro pieno, di 360 gradi, alla scopa.
    Adorava il modo in cui precipitare lo faceva sentire: quella sensazione di vuoto al centro del petto, lo stomaco che risaliva alla gola fino a fargli dimenticare ogni singolo problema della sua vita accendendo in lui il solo primordiale istinto di sopravvivenza.
    Era vivo e pretese che Eunjoo si sentisse al suo stesso modo e non si trattenne dall'urlare a perdifiato nel vento, sfogando tutto ciò che aveva dentro di sé.
    Avrebbe interrotto quella discesa a capofitto giusto in tempo per riuscire a posizionare la scopa in orizzontale; scopa che avrebbe ripreso a galleggiare placidamente ad un paio di metri scarsi dal manto erboso.
    Il fiatone che ne animava il petto di sarebbe riversato contro la sua schiena, ma aveva bisogno di qualche attimo ancora prima di riuscire a riprendersi del tutto, tant'è che tirò il capo all'indietro sorridendo al cielo, sigillando anche gli occhi sullo sguardo chi si sentiva più libero che mai.
     
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    Grifondoro
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    Si strinse nelle spalle quando Nathan non mancò di farle presente la sua incredulità, d'altra parte non aveva mai avuto una vera occasione per andare allo stadio: prima di tutto perché il suo interesse per il Quidditch era nato tardivamente - adesso l'idea la incuriosiva, ma qualche anno prima non vedeva perché avrebbe dovuto infilarsi in mezzo a gente sudata e schiamazzante a fissare per ore dei giocatori che si passavano una palla di cuoio; e poi perché essendo da sola, minorenne, in un altro Paese, non aveva avuto nessuno che avrebbe potuto accompagnarla, nemmeno i suoi genitori che non erano mai sembrati intenzionati a farsi un viaggio oltreoceano per assistere a una partita di Quidditch.

    Ah! Sì certo, sarebbe carino, grazie. Non sapevo che le vostre famiglie si frequentassero.

    Era un po' stupita da quella notizia, non si ricordava che Venetia avesse nominato il Lestrange tanto spesso prima d'allora, ma a ben pensarci, essendo entrambi parte di due famiglie Purosangue inglesi, era lecito se non quasi scontato che si conoscessero magari da tempo, anche se non si aspettava in modo così approfondito da vedersi nel tempo libero dopo la scuola.
    Sebbene non si sentisse ancora nel mood per partecipare ad eventi con un mucchio di altra gente, l'estate era ancora lontana, o almeno mancava ancora qualche mese: in cuor suo sperava sarebbe riuscita a mettere da parte quel groppo in gola che alcune volte le rendeva faticosa la parola e facile di pianto, oltre a sperare una miriade di altre cose, molte di quelle irrealistiche se non proprio insensate, che avrebbero fatto l'opposto di sollevarle il morale nel caso in cui non si fossero realizzate (e che quello molto probabilmente fosse un bene, non lo sapeva ancora).
    Intanto, poteva sentire lo sguardo del Serpeverde su di lei, sebbene non cercasse apposta di incontrarlo come aveva fatto fino a qualche giorno prima, ed il fatto che non sapesse se la lusingasse o meno la riempiva di dubbi. Qualcosa le diceva che non fossero occhiate di apprezzamento, che la considerasse solo strana in qualche modo, e lei sapeva di esserlo: avrebbe voluto essere più brava a fingere, e forse col tempo avrebbe imparato come fare, ma in fondo una parte di lei sperava di non riuscire mai a diventare così tanto abile da fuorviare del tutto chi le stava attorno. Avrebbe potuto accettare di buon grado che l'unica cosa in cui non fosse stata brava abbastanza, per rispondere alla domanda ironica del ragazzo, fosse stata la capacità di fingere che tutto andasse bene e di non aver bisogno di aiuto.
    Si trovò a ridacchiare al ricordo di Quincy e ai suoi volteggi rapidi nell'aria causati dallo scontro brutale della scopa di Joy - che in realtà subì un destino simile, ma quelli erano dettagli - anche richiamata dalla stessa risata del Lestrange verso cui voltò il capo, portata così in modo naturale a distendere la sua.

    Lui no di certo.

    [Campo da Quidditch]



    Prova tu ad andare sulla scopa in minigonna e poi ne parliamo.

    Gli avrebbe risposto senza voltarsi, mentre girava l'angolo per infilarsi nello spogliatoio femminile e recuperare dei pantaloncini che potessero scomparire sotto la gonna, di cui non avrebbe dovuto preoccuparsi nemmeno nelle sferzate di vento. L'atteggiamento sbruffone di Nathan rimase tale per tutto il tempo che ci volle a sistemarsi sulla scopa, con gli occhi di Joy che lo scrutavano mezzi ridotti a simil fessure, avendo benissimo capito che le avrebbe sferrato un tiro mancino prima o poi: non era da domandarsi cosa fosse o se l'avrebbe fatto, ma quando.
    Era convinta comunque che nemmeno lui fosse un grande fan di fasciature, notti in infermeria e Ossofast come prima bevanda rinfrescante del mattino, quindi confidava che non avrebbe fatto niente di talmente stupido da metterli in pericolo entrambi - ma avrebbe fatto presto a ricredersi.
    Non poté non sentirsi un pelo disorientata per tutto il movimento che il ragazzo fece per allacciarsi a lei e alla scopa, e sebbene lo spazio non è che fosse così tanto largo da non esserselo aspettato, il braccio che correva sotto il suo per afferrare il manico di fronte, la mano sul fianco e il petto sulla schiena le davano comunque una sensazione strana, come pure le gambe di entrambi che dovettero per forza di cose entrare a contatto per avere un minimo di appoggio e non rovinare l'aereodinamica del mezzo.

    Si tenga pure stretto eh, mi raccomando.

    Tentò d'istinto di combattere l'impaccio che le solleticava la pelle con un commento sarcastico, imitando il suo rivolgersi a lei in terza persona: tanto, se pure nel frattempo avesse provato a deglutire l'imbarazzo, non sarebbe stata una cosa che Nathan, alle sue spalle, avrebbe potuto facilmente intuire.
    Improvvisamente però l'idea di un paio di frustate di vento in faccia non le sembrava così spiacevole, e mentre le ciocche di capelli libere dalle code si sollevavano smettendo di incorniciare il viso, per poi tornare a sfregiarlo nel momento in cui si voltò verso di lui, col vento che le riportò con forza sulle guance, cercò di metterci più energia per manovrare la scopa di quanto avesse vanamente provato fino a quel momento.
    Ciò che le disse Nathan ebbe un valore appena diverso di quello che probabilmente il Serpeverde avrebbe voluto trasmetterle: di colpo, il non puoi volare se hai paura di cadere assunse tutt'altro significato, applicabile a molti altri aspetti della sua vita che la raggiunse come uno schiaffo. Era tutto più chiaro da lassù, a vari metri sopra la terra, tutto più facile, e tutto più bello, anche: era troppo lontana per individuare ancora i problemi che la ossessionavano da un mese, e soprattutto le era mancata la sensazione di sentirsi leggera, veloce, potente, anche se le gambe nude tremavano di freddo e i fiocchi annodati alle code minacciavano di sciogliersi spettinandola.
    Era pronta forse per piegarsi al brivido dell'adrenalina che usava fogarla tanto, ma quei pochi attimi di esitazione le furono fatali: appena intercettò il sorrisetto furbo di Nathan capì che qualcuno stava comandando quella scopa, e non era lei; si lasciò scappare un grido muto, di fiato aspirato, quando lo sentì schiacchiarla in avanti e si aggrappò al manico su cui però non poteva esercitare più alcuna influenza.

    No no no no NO-

    Il grido, questa volta vero, che esplose appena si lanciarono in picchiata si librò acuto graffiando l'aria mentre quello più profondo del Serpeverde bastonava il vento: strinse gli occhi con tutta la forza che possedeva, incassando la testa un po' china nelle spalle e il corpo dentro quello dell'altro, un cucchiaio più piccolo incuneato in uno più grande, con le braccia che la stringevano a lui alle quali dovette aggrapparsi quando il moro volle imprimere alla scopa una capriola completa in aria.
    Lo stomacò la imitò subito dopo e lei continuò ad urlare, ma più per esaltazione che paura, e quando riaprì gli occhi quelli bruciavano per le folate vi soffiavano contro: ma guardare fu un gesto spontaneo, perché il mondo sottosopra era uno tra i più belli e spaventosi che esistessero, di quella fifa che si sentiva prima di gettarsi in mare saltando da uno scoglio altissimo, l'eccitazione per la vita che esplodeva in volo anche prima di arrivare a fendere la superficie dell'acqua.

    Tu sei pazzo.

    Riuscì a boccheggiare quando la scopa tornò dritta, lo stomaco e il cuore ancora alla rovescia, le dita di una mano ancora artigliate al braccio che le circondava il bacino, e trovando una forza che credeva di essersi dimenticata sterzò di netto il manico perché planasse più vicino alla terra, sulla quale rotolò poco dopo, appena ebbe modo di liberarsi dalla stretta.
    Le caviglie e le gambe erano talmente molli che non rimase in piedi a lungo, ma anzi con fare anche un po' teatrale inscenò che non le reggessero affatto, crollando quindi sull'erba e stendendosi supina, col cielo terso sopra di lei.

    Sto per morire. Fammi la lista completa, presto.

    Fece finta di biascicare, il dorso della mano sulla fronte mentre l'altra indicava il ragazzo, un occhio chiuso e uno aperto, e gli metteva fretta per sciorinargli l'elenco delle cose che gli erano rimaste impresse di lei, come se fosse l'unica cosa che avrebbe potuto salvarla.
    Così capovolti dopo l'acrobazia in aria, cuore e anima sembravano almeno per il momento essersi fatti beffe dell'oscurità che li aveva tenuti a lungo in pugno, come se la giravolta avesse fatto sì che ne scappassero, sgusciando via dalla presa.
    Pompavano entrambi forte nel petto e nelle orecchie, scuotendo una parte di sé assopita che annaspava per tornare a galla.
     
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    Serpeverde
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    Non si scompose nel percepire il velo di sorpresa nel tono di Eunjoo quando il discorso ricadde su Venetia Prewett, se non altro perché tutto quel discorso sorprendeva un po' anche lui. Non perché si trattasse della rossa nello specifico, ma soltanto perché i suoi genitori negli ultimi tempi gli sembravano un po' ossessionati dalla strega in questione.
    Magnus Lestrange e Ophelia Black erano sempre stati estremamente attenti alle amicizie del loro unico figlio, ma di certo non a quei livelli e il giovane mago non aveva potuto fare a meno di domandarsi il perché di tutta quell'accortezza, senza tuttavia trovare una risposta che facesse al caso suo.

    Sì, i nostri genitori sono amici.

    Non gli era tuttavia sfuggito il fatto che i suoi non avevano mai nominato Hector Prewett nei loro discorsi se non in quell'ultimo periodo, tant'è che il cipiglio pensieroso sul volto del Lestrange fu ben marcato.

    A quanto pare.

    Aggiunse quella specifica con tono di voce ben più basso, sospirando profondamente subito dopo e scavalcando il discorso in favore di ben altro. Una situazione che, se non di certo più chiara, poteva per lo meno essere sotto suo diretto controllo.
    Forse.

    [Campo da Quidditch]

    Non aveva bene in mente cos'è che sarebbe accaduto una volta che la sua Comet 370 fosse stata sistemata di tutto punto. La sua idea iniziale - quella che aveva maturato ancor prima di decidere di incontrare la coreana per farsi restituire la giacca della divisa - era stata quella di voler trascorrere qualche ora da solo in compagnia di uno dei pochi oggetti ai quali teneva di più in tutto il mondo.
    Al pari di un animale domestico, il verde-argento si dedicava al suo manico di scopa in maniera affettuosa e quasi ossessivamente maniacale. Si trattava di un cimelio, ma nonostante i cospicui anni di vita del mezzo le sue condizioni erano pressoché ottimali, sintomo del fatto che il giovane non mancava di manutenerlo giornalmente.

    Se ne trovi una della mia taglia ti faccio vedere come si fa.

    Ridacchiò all'idea di poter indossare una gonna, cosa che con tutta probabilità non avrebbe fatto mai neppure sotto tortura, ma non mancava di adoperare della sana autoironia al momento giusto.

    Ma non so se sei pronta al mio stacco di coscia.

    Condita dal suo solito marcato narcisismo, ovviamente.
    Nonostante il Quidditch fosse uno sport che richiedeva l'utilizzo delle braccia, per la maggiore, il giovane Lestrange non aveva mai mancato di allenare il proprio corpo in maniera integrale. Era infatti fermamente convinto - complice anche l'indottrinamento di suo padre - che avere la giusta forza e potenza nelle gambe potesse aiutarlo ad ottenere maggiore stabilità in volo, nonché maggiore padronanza nella guida della scopa.
    Le sue cosce spesse e toniche, pur coperte dal tessuto antracite del pantalone della divisa, non mancavano infatti di farsi notare.
    Imbracciata la Comet e sistematosi alle spalle della Grifondoro, le volle concedere l'illusione di essere al comando della traiettoria di volo per svariati minuti. Si lasciò infatti andare alla sua andatura, approfittando di quel momento per cogliere un innumerevole elenco di dettagli che non aveva ancora avuto modo di recepire di lei: dal modo che il suo corpo aveva di tendersi nello sforzo di governare il manico di scopa, alla sensazione che i suoi capelli scuri e sottili avevano di frustrargli il viso nonostante il fatto che stesse tentando di evitarli sbucando oltre la sua spalla sinistra.
    C'era tuttavia stato qualcosa di strano - a tratti fastidioso - nel modo scarno che la rosso-oro aveva avuto di guardarlo sul pianerottolo della Torre poco tempo prima. Uno sguardo che l'aveva resa irriconoscibile agli occhi del Serpeverde che decise di provare a scuotere la coscienza di lei in uno dei modi che conosceva bene per riuscire a sconvolgere.
    Prendere il comando della scopa non fu difficile, così come naturale fu trasformare quel giro di campo in una parentesi da togliere il fiato.
    Urlò nel vento, permettendo a quest'ultimo di ricacciargli in gola il fiato, costringendolo ad un'apnea che ne frenò il battito cardiaco che riprese a galoppare forsennatamente solo una volta che decise di interrompere quella follia, permettendo ad Eunjoo di trovare riposo sul manto erboso del campo. Rimase a cavallo della scopa per qualche altro istante, osservandola stramazzare al suolo, incapace di trattenere un sorriso che nacque spontaneo e conturbante sulle labbra screpolate dal vento.

    Sono tante cose, Choe. Pazzo non è una di queste.

    Non suonò offeso in quel suo dire, quanto più divertito.

    Preferisco indomabile. O impavido.

    Ridacchiò a quelle sue stesse parole, fluttuando nei suoi paraggi senza scollarle gli occhi scuri di dosso, lasciandosi poi cadere a sua volta sull'erba premurandosi di adagiare il manico di scopa di fianco a lui per poi rotolare sulla schiena e posizionarsi a sua volta supino, con la mano destra a riposare all'altezza dello sterno che continuava ad agitarsi al ritmo del suo respiro.

    Eroico. Scegli tu.

    Ché se qualcuno poteva vantarsi del fatto di essere riuscito a svuotarle la mente quello sentiva di essere proprio lui, senza alcuna ombra di dubbio.
    O almeno quello gli suggeriva la situazione nella quale erano finiti nonché l'ultima richiesta di lei.

    Troppo tardi, ormai sei spacciata mi sa.

    Non sembrava intenzionato a svelarle una lista che in realtà non aveva in testa neppure lui, se non altro perché erano svariate le cose che l'avevano affascinato di lei, ma elencarle a mo' di lista della spesa non era propriamente nel suo stile.
    Preferiva di gran lunga i fatti alle parole, ma quello la coreana poteva averlo tranquillamente intuito dai suoi atteggiamenti.
    Volse il capo in sua direzione, la pelle della guancia sinistra solleticata dall'erba fresca, mentre si preparava a lanciarle un monito con l'unico indizio a riguardo dell'unica tecnica che funzionava quando si cercava di avere a che fare con lui.

    La prossima volta rifletti di meno.
     
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