Come cenere

Campo di addestramento

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    Corvonero
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    Le sembrava che il suo andamento scolastico non avesse più senso. Era riuscita a recuperare le materie in cui storicamente era sempre andata peggio, fino a ottenere una E perfino in Antiche Rune, senza tuttavia riuscire ancora a migliorare la sua media di O in Incantesimi. Non che si trattasse di un brutto voto, certo, ma le sembrava una materia fondamentale e anche troppo divertente perché il suo rendimento non fosse ancora al massimo. Il docente che la insegnava era anche il Responsabile della sua casata, quindi era un peccato che non la considerasse ancora così Eccezionale. Inoltre, l’atmosfera che si respirava nel Castello le ricordava di giorno in giorno quanto importante fosse imparare a difendersi e coltivare l’abilità con la bacchetta. Non sarebbero stati ammessi errori né titubanze, c’era in ballo molto più che gli esiti di un esame o di un’interrogazione. Questo, e anche un po’ di irrequietezza, avevano portato Winter ad avventurarsi fuori dal castello quel venerdì pomeriggio al termine delle lezioni. Le giornate si stavano allungando, unico sintomo della primavera ormai inoltrata che si nascondeva fin troppo bene nel maltempo che aveva colpito tutta la Scozia negli ultimi giorni e Hogwarts, in particolare. Quel giorno c’era stata una piccola pausa, illuminata da un timido sole nascosto tra le nubi grigie, che aveva dato a Winter una spinta in più per lasciare le mura di Hogwarts e concedersi una breve passeggiata, che sarebbe poi finita al Campo di Addestramento.
    Pur indossando un mantello pesante, quello che aveva utilizzato per l’inverno, la ragazza percepiva l’aria che le entrava nelle narici fredda come il ghiaccio. Con il nome che portava non poteva certo lamentarsi delle temperature gelide, ma sebbene amasse il freddo e non potesse pensare al fastidio del sudore che le colava sulla fronte nella stagione più soleggiata, in quel momento non avrebbe disdegnato qualche grado in più. Lanciare incantesimi contro i manichini che simulavano duelli l’avrebbe forse aiutata a scaldarsi, oltre che a ripassare. E a non pensare.
    Le lettere di Brittany, sua sorella, erano andate ad aumentare dopo le vacanze di Natale, prendendo un ritmo sempre più concitato, per poi arrestarsi di colpo. Sua madre le aveva spiegato, in un’altra lettera, che sua sorella aveva iniziato un nuovo tipo di riabilitazione che le stava portando via molto tempo, oltre che un’incredibile quantità di forze. Winter però non riusciva a fare a meno di domandarsi quale fosse la verità dietro quel silenzio. Dopo essersi scritte un po’ di tutto, da gossip, a ricordi, a chiacchiere superflue, a emozioni, a paure e preoccupazioni, perché non impiegare due minuti per un semplice “Cara Winter, sono stanca, ci sentiamo presto”?
    Allora schiantare qualche manichino avrebbe allontanato le mille risposte che le ronzavano per la mente, che si sarebbe dovuta piegare all’istinto di emanare un Sortilegio Scudo quando il manichino avrebbe replicato con un Expelliarmus. A lei non piaceva duellare, ma doveva ammettere che le tempistiche inderogabili cui la costringevano i colpi di bacchetta potevano essere un buon metodo di sottrazione da tutto, soprattutto quando il meteo sconsigliava il Volo.
    Winter arrivò quindi al Campo, poggiò la borsa su una panchina e iniziò a scorrere lo sguardo sui manichini liberi, bacchetta in pugno, cercandone uno che per un qualsiasi immaginario motivo le mettesse più voglia di aggredirlo.

    Eunjoo Choe
     
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    Grifondoro
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    La finale di Quidditch non era troppo lontana e la sua forma fisica aveva raggiunto pessimi livelli.
    Forse la peggiore da quando aveva iniziato quel Campionato: nonostante non avesse mai smesso di allenarsi, era sempre stanca, debole, aveva le vertigini, mal di testa frequente, dormiva sui banchi e continuava imperterrita a non mangiare abbastanza, sebbene cercasse di staccarsi da quel circolo vizioso ogni volta che riacquistava un minimo di lucidità.
    Ma sembrava impossibile, perché anche avendo capito che c'era qualcosa che non andava in lei, c'era un'altra parte di sé che le faceva vedere quelle voci nella testa, quel giudice interno, come le uniche cose che avrebbero potuto salvarla dall'infelicità: era grazie a loro che ancora si reggeva in piedi, grazie a loro che avrebbe potuto raggiungere certe vette, grazie a loro se sarebbe arrivata al punto da non sentire più il dolore.

    Ti ho dato una routine a cui aggrapparti. Senza di me non sei nessuno.

    Colpì il sacco da boxe con tutta la forza che aveva nel braccio, stringendo i denti e lasciando fluire un piccolo gemito dalla bocca, coi guanti a mezze dita e la divisa da Quidditch priva del mantello: la maglia appariva leggermente sformata, non aderiva al corpo, ed infatti ne aveva indossata una di una taglia più grande.

    Nessuno ti conosce, a parte me. Nessuno può salvarti, a parte me.

    Colpì di nuovo con l'altro pugno, mettendoci la stessa forza, lo stesso gemito dalla bocca schiusa, solo un po' più flebile: l'obiettivo era rendere le braccia più forti per quando avrebbe dovuto impugnare la mazza da Battitore durante la partita. La stessa mazza di ottima fattura che portava il suo nome in oro nella sua lingua madre, un regalo di Gideon per Natale. No, no, doveva focalizzarsi, concentrarsi.
    Qual era l'obiettivo? Ah sì, bruciare le calorie, bruciare, come la rabbia nello sguardo di Gideon che le aveva rivolto in Sala Grande, prima che lei rispondesse con stizza esasperata, nuovamente tradita nel profondo senza che lo meritasse. No, lo meritava.
    No, no, no, doveva rimanere concentrata. L'obiettivo era... Qual era?
    Sparire?

    Ti renderò la persona che vuoi essere. Ti renderò libera e potente.

    La serie di cazzotti fece vibrare il sacco, un allenamento disperato e cieco, ossessivo, nervoso, da spellarle le nocche, il viso contratto nello sforzo. Se avesse completato quell'esercizio avrebbe potuto sentirsi contenta, almeno per un attimo, prima di passare all'obiettivo successivo. Poteva fare meglio, sempre meglio, doveva solo seguire gli ordini, anche se alle volte apparivano troppo rigidi, anche se alle volte voleva stare un po' da sola senza pensieri, senza paura di avvelenarsi ogni volta che mangiava un boccone di troppo.

    Ma se non mi ascolterai ti farò stare male. Per il tuo bene, devo farti stare male.

    Assestò l'ultimo pugno con le dita che le si fecero bianche e rosse insieme, il gemito più forte che colpì all'unisono per darsi forza, e per caso quando alzò appena lo sguardo oltre il sacco individuò Winter appena arrivata nel campo in cui lei si stava esercitando già da ore: forse fu per i ricordi di un'aula dismessa che le rimandò di colpo, come se una voragine si fosse aperta sotto i suoi piedi; forse fu per l'allenamento estenuante a cui si sottoponeva troppo spesso, da settimane, che la prese un giramento di testa così violento da sentirsi di star per crollare a terra, priva di sensi.
    Si aggrappò al sacco con le mani, respirando sempre più flebilmente, e poi scivolò verso il basso, abbracciandosi lo stomaco e poggiando la fronte sull'erba, le ginocchia al petto in posizione fetale, fiatando male, le guance che le pizzicavano di mille spilli mentre via via impallidiva.
    Non aveva perso coscienza, ma avrebbe tanto voluto. Magari questo avrebbe spento ciò che c'era nella sua testa, magari l'avrebbe fatto tacere, almeno per un'ora.
     
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    Era appena arrivata e aveva già trovato un buon motivo per andar via. Non appena Winter scelse un manichino da aggredire, passò poi in rassegna gli altri presenti al Campo di Addestramento, incontrando la figura di Joy. Ogni volta che le capitava di incontrarla continuavano a tornarle alla mente le grida, i cuscini, le lacrime, quella sensazione di freddo che l’aveva invasa più di quanto qualsiasi primavera in ritardo avrebbe mai potuto fare. E anche se Setoshi le aveva suggerito che quella rabbia potesse poi tramutarsi in una manciata di buoni ricordi da portare con sé, Winter non riusciva ancora a compiere quella impegnativa trasfigurazione.
    Esitò, indecisa se continuare con il suo allenamento oppure cambiare programma e andare in un posto in cui nessuno la innervosisse più di quanto già non fosse. La biblioteca, ad esempio. Sicuro rifugio di chiunque portasse la divisa bronzo-blu.
    Decise tuttavia di fermarsi e proseguire come se nulla fosse, perché gli stralci di un’amicizia finita non potevano interferire sui suoi programmi di ripasso e di divago.

    Rictusempra!

    Iniziò a combattere contro il manichino a colpi di incantesimi, lasciando che qualche getto colorato uscisse dalla sua bacchetta soltanto per riscaldarsi e passare poi ad allenamenti più impegnativi. D’improvviso, tra una formula e l’altra, notò qualcosa che assorbì la sua attenzione. Schivò un colpo del manichino, non rispondendo per quietarlo e fermarsi a osservare piuttosto cosa stava accadendo: Eunjoo stava colpendo il sacco in una maniera strana. Piena di rabbia, con un ritmo forsennato, non adatto a un semplice allenamento sportivo, almeno per quanto ne sapeva Winter. Finse di tornare verso la borsa per non perdere d’occhio la scena, che si tradusse presto in una situazione di emergenza.

    Joy!

    Corse verso di lei, vedendola prima appoggiarsi al sacco e poi scivolare fino a poggiare la fronte a terra.

    Che hai? Stai bene?

    Che non fosse in piena forma era piuttosto evidente, ma Winter non poteva certo immaginare cosa stesse succedendo alla compagna. Pensò che si fosse allenata troppo, che avesse esagerato, ché in effetti l’esagerazione era una sfaccettatura ben denotata nel suo carattere.
    Si chinò accanto a lei, mettendole le mani attorno alle spalle e, se avesse voluto, aiutandola a stendersi sollevandole le gambe, così da potersi sentire presto meglio. Stranamente, non era la prima volta che le capitava di soccorrere qualcuno che perdeva i sensi (o quasi) in quello stesso posto: le era già successo mesi prima con Jude, quando aveva deciso di fare da cavia perché lei e Setoshi potessero fare pratica con un incantesimo avanzato.
    Le differenze però erano due: Jude era svenuta a seguito di uno schiantesimo che lei stessa aveva voluto, proponendosi come tester di un gioco neanche troppo pericoloso, mentre Joy sembrava essere svenuta per un malessere, e la situazione era quindi più preoccupante; la seconda differenza stava nel fatto che Jude era una sua amica, mentre Joy non era più tale, e Winter per un istante se ne era dimenticata.
     
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    Non riuscì ad udire bene tutto il resto che accadde dopo, il grido di Winter, i suoi passi veloci sull'erba: era tutto ovattato, lontano, e sebbene non fosse svenuta non riusciva a muoversi né a parlare, come se tutte le sue energie fossero state risucchiate da una forza sinistra, rendendola un involucro vuoto.
    Era terribile essere un briciolo presente a se stessa ma non essere capace di imporre alcun comando al proprio corpo, facendo sì che fosse in balia di chicchesia: che, a pensarci, era quello che aveva permesso che accadesse da più di un mese, ormai, relegando il comando a qualcun altro che non fosse lei, perché ne facesse quel che desiderava, e forse nemmeno in quel momento se ne rendeva davvero conto.
    Ascoltò la domanda senza poter risponderne in alcun modo, se non con la bocca schiusa ed il flebile respiro che ne usciva, e lasciò che la Corvonero facesse tutto quello che voleva, senza opporsi, non che avesse potuto farlo in ogni caso: la nuca sull'erba, gli occhi chiusi, l'unica cosa che percepiva distintamente erano i brividi di freddo e l'immane stanchezza che la pervadeva, ma nonostante non avesse un briciolo di forza per alzare neppure un mignolo, non sembrava essere abbastanza per concederle la beatitudine della perdita dei sensi.
    Invece, dopo un po' il sangue tornò alla testa e Joy aprì gli occhi di scatto, il sole debole ne colpì la pelle pallida, e come se avesse trovato di colpo tutte le energie, sebbene fosse ancora infinitamente debole, riuscì a mettersi su facendo leva sui gomiti, ritraendo le gambe vicino a sé, come se tenerle allungate le desse un senso di vulnerabilità ancora più vergognoso di quanto già non ne provasse.

    Non mi vuole più.

    Sussurrò con un tono di voce così basso che Winter avrebbe dovuto rannicchiarsi accanto a lei per sentirlo. Se lo avesse fatto, Joy l'avrebbe guardata con occhi pieni, supplicanti, il respiro che si faceva via via più robusto nel petto magro, una specie di monito terrorizzato, come se il suo corpo sapesse che una crepa in quella diga di omissioni e facciate era stata aperta, dando il via al fiume in piena di distruggerla del tutto, e ne fosse sollevato, in parte terrorizzato, perché era una violazione degli ordini, un disubbidire al giudice interno che le aveva già mostrato la via per liberarsi, e non era quella di confessare e rivelare tutto.

    Lui non mi vuole più.

    Non avrebbe potuto dirlo a nessun altro, se non a lei, e in cuor suo sentiva o quantomeno sperava che le avrebbe prestato ascolto, almeno un poco: non avrebbe potuto parlare a nessuno del male che la intossicava da dentro, e in realtà neppure a Winter stessa avrebbe potuto dire tutta la verità, mossa da una fedeltà ancora inalterabile verso chi l'aveva lasciata a morire e per cui provava ancora un senso incalcolabile di protezione - e molto più di questo, in realtà, come se non si fosse umiliata abbastanza.

    Ha detto che non saremo mai la stessa cosa.

    La voce tremava, ma non sentiva di avere più le lacrime per piangere, sebbene percepiva che fossero nascoste da qualche parte, né la forza, che se avesse dovuto subire l'ennesimo spasmo del pianto forse ne sarebbe rimasta spezzata una volta per tutte.
    Lo sapeva di star chiedendo a Winter qualcosa che non era più parte dei suoi doveri, non più almeno, e sapeva anche di star rasentando il ridicolo, rivolgendosi tra tutti proprio a lei: ma aveva toccato il fondo, di questo ne aveva una consapevolezza chiara e dolorosa, e se non si fosse aggrappata a qualcuno che avrebbe potuto capirla, che ai suoi occhi poteva essere soltanto lei, sarebbe rimasta laggiù per sempre.

    Non riesco a togliermelo dalla testa.

    Quante volte aveva sognato di ammetterlo ad alta voce, ormai non le contava più: era un pensiero fisso, un chiodo che penetrava nel cervello, che la coreana cercava di insonorizzare e sotterrare solo con altre cose che possibilmente le facessero ancora più male, così da dare a sé stessa qualcos'altro per cui soffrire, visto che sembrava anelarlo così tanto.
    Avrebbe di nuovo cercato gli occhi azzurri della fu amica, azzardando un tocco alla gamba, nel caso si fosse precedentemente chinata accanto a lei per lasciarla parlare, e su quella avrebbe nascosto la testa, respirando a scatti, le lacrime che battevano dietro le ciglia ma che ancora non scivolavano giù.

    Toglimelo dalla testa. Non voglio più pensare a lui, non ce la faccio più.
    Non ce la faccio più.
     
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    Corvonero
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    Era spaventata: poteva vedere la ragazza, di solito così sicura e determinata, improvvisamente debole e accondiscendente, lasciando che Winter la aiutasse a stendersi e le sollevasse le gambe per farla riprendere. Rimase lì, in piedi, immobile, a reggere con forza le gambe apparentemente pesanti della compagna. Non una parola, soltanto la bocca che si schiudeva in un respiro fragile, in quello stato che sembrava fin troppo vicino alla perdita di coscienza. Winter sentiva il cuore batterle all’impazzata mentre continuava a ripetere il nome della Grifondoro aspettando una reazione, incapace di decidere se continuare a soccorrere la compagna così come poteva, oppure affidarla a qualcuno mentre andava a chiamare aiuto dall'Infermeria. Fu lo sguardo di Joy a decidere per lei: d’improvviso si fece più sveglio, più cosciente, e la ragazza trovò la forza di muovere le gambe e piegarle fino a chiudersi rannicchiata sul prato. Winter sospirò, sedendosi accanto a lei e godendosi per un attimo la sensazione del batticuore placarsi. Prima che potesse domandarle come si sentisse, lei sputò fuori qualcosa che la stava evidentemente distruggendo. La ragazza si trovò a fissare i suoi occhi così profondi e tristi, non sapendo cosa dire. Rimase in silenzio e ascoltò la sua confessione con aria seria, finché Joy non le sfiorò la gamba con la sua, e allora Winter si sporse per cingere la spalla di Joy con il braccio destro, invitandola con una leggera pressione ad appoggiarsi a lei, che l’avrebbe sostenuta ora come nei mesi passati non aveva fatto.
    La Grifondoro chiese il suo aiuto per togliersi dalla testa quel tarlo che stava divorando tutto. Winter schiuse le labbra, incapace di trovare le parole adatte. Che se fosse stato per lei, avrebbe fatto di tutto per far uscire quel ragazzo dalla testa di Joy già dall’inizio. Avrebbe voluto domandarle cosa fosse successo, se ci fosse stato un evento scatenante quella frattura, ma era chiaro che Joy non aveva la forza di ripercorrere quei ricordi, quanto piuttosto bisogno di distrarsi.

    Non se lo merita tutto questo.

    Non riuscì a trattenere un commento che non voleva essere maligno necessariamente verso il Greengrass, ma che probabilmente avrebbe riservato a chiunque avesse spezzato il cuore di una sua amica. In quel caso, però, la rabbia che sentiva crescere per tutto il dolore che stava causando a Joy era forse centuplicato.

    Io lo so che per te eravate la stessa cosa…

    Utilizzò la stessa espressione che lei aveva utilizzato mesi prima e che, evidentemente, Greengrass aveva infranto, perché ciò che avrebbe voluto spiegare a Joy era che secondo Winter il Serpeverde aveva ragione.

    Ma, in realtà, tu sei molto di più.

    Non potevano essere la stessa cosa, perché Joy valeva mille o duemila Greengrass. Se quell’unione si era sciolta non era certo lei a dover stare così male. Lei aveva accettato le voci, i pettegolezzi, aveva rinunciato ad amicizie e cercato di dare lustro alla reputazione intaccata del ragazzo, e cosa aveva avuto in cambio? Dolore, sofferenza, sospetto.

    Sei la Battitrice della probabile squadra vincitrice del torneo, sei una strega eccellente. Sei bella, simpatica, intelligente, dolce, furba. Hai mille amici, tutti ti adorano. Adesso perfino Lumacorno.

    Buttò lì una battuta sul suo ingresso al Lumaclub, piegando le labbra in un sorriso accennato, visto che la festa di Natale del club più esclusivo era stato ulteriore motivo di scontro tra le due, prima che tutto degenerasse. Immaginava che tutto ciò non bastasse alla Grifondoro, ma Winter voleva che ricordasse quante doti avesse e quante ne avesse quindi perse Greengrass nel momento in cui aveva deciso di scindersi da lei.
     
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    Winter aveva solo una minuscola idea di come sarebbero servite quelle parole ad Eunjoo un giorno, anche se in quel momento, china sulla sua gamba, sembrava non riuscire a recepirle: era come se tutto il malessere che si stava gonfiando dentro di lei, consumandola dall'interno, fosse stato stappato, ed intravista una via d'uscita stesse lentamente evadendo da quella fenditura, come una corrente d'aria malsana la quale piano piano abbandonava il corpo che aveva preso ad avvelenare in maniera così crudele e metodica.
    Quello era il veleno di Greengrass, che sarebbe presto arrivato anche alla sua mente obnubilandola del tutto e facendola sua, se solo non avesse interrotto il processo in modo così brusco perché Eunjoo non era cambiata abbastanza velocemente come avrebbe voluto.
    Joy stiracchiò un sorriso tra le lacrime che ora scendevano silenziose e delicate, senza sconquassarle il corpo in violenti spasmi, o incrinarne di troppo la voce: ma era tanto difficile accorgersi di quello che si aveva, alle volte, rispetto a quello che di colpo non si aveva più.

    Qualche volta, quando mi sveglio e apro gli occhi, c'è un istante in cui la mia testa non ricorda quello che è successo.
    In quel singolo momento, noi siamo ancora insieme.
    Poi mi ripiomba tutto addosso.


    Continuava a confidarle pensieri che non aveva mai svelato a nessuno, scoprendosi per la prima volta a lei fedele in modo spassionato, dal primo momento, d'altronde, persino prima di essersi parlate, magari: forse Winter lo sarebbe stata con tutti, ma dubitava che tutti l'avessero messa alla prova tanto quanto aveva fatto lei. Era stata la prima in tutta la scuola a sapere del suo intrigo clandestino, e la prima a sapere che era finito: né le era sfuggita la discrezione della Corvonero di non spiattellare i fatti suoi a qualche altro, nonostante non fosse obbligata, nonostante non le dovesse niente.
    Era diventata un punto fermo, una roccia a cui aggrapparsi in un mare in tempesta, tanto da arrivare a chiederle domande a cui probabilmente nemmeno sapeva la risposta, ma si fidava così tanto da aspettarsi quasi che la conoscesse.

    Non capisco, io credevo ci amassimo. Era tutta una bugia? O era vero?
    E se era vero, com'è possibile che sia finito così?
    Come puoi arrivare dal presentarmi ai tuoi genitori, a dirmi che non vuoi più stare con me?


    Più ci pensava, più non se ne capacitava, e più non se ne capacitava, più il pensiero rimaneva fisso lì, a torturarsi per trovare una spiegazione sensata, un motivo che le desse pace, ma scavava e scavava come un chiodo nel muro senza che le desse un minimo di sollievo, o una conclusione a quel tormento. Le sembravano due Gideon diversi, ed il secondo che l'aveva lasciata non era il primo con cui aveva costruito la sua prima storia d'amore, non poteva essere: ma c'era del peggio in tutto ciò, qualcosa di cui si vergognava così tanto da non essere nemmeno capace di ammetterlo all'amica che le cingeva le spalle.
    Lo aveva aspettato, era quella la verità, aveva aspettato che cambiasse idea e tornasse da lei, ma non era mai successo; aveva più e più volte preso tra le mani il pezzo degli Specchi Gemelli che gli aveva regalato a Natale, con la speranza di intravedere gli occhi nocciola fare capolino dall'altro lato del vetro, ma non era mai accaduto, e quello le aveva piantato delle pugnalate al cuore indicibili.
    Era così persa per lui che lo avrebbe perdonato, così sconvolta da aver toccato il fondo, e quella di non tornare era stato solo un caso di misericordia accidentale, che almeno le aveva impedito di scegliere di tornare sui propri passi, per chi in fondo non lo meritava.
    Perché, in quei pochi sprazzi di lucidità, si metteva a pensare a quanto avesse fatto per lui, che non fosse bastato; ma lui per lei cosa aveva fatto, a parte darle il permesso di mutilarsi dei propri amici e della propria reputazione? Lei aveva fatto grandi gesti, col giornale, mantenere i suoi segreti, ascoltare la sua storia, fargli scoprire stanze nascoste di Hogwarts, dirgli tutto quello che sapeva, proteggerlo, difenderlo sempre; ma lui, per lei, cos'aveva fatto in realtà, a parte pretendere prove della sua lealtà fino allo sfinimento?
    In che modo, lui, era stato leale?

    È tutto sparito da un momento all'altro? O non è mai esistito?
    Tutto l'amore che abbiamo provato, le cose che ci siamo detti, che abbiamo fatto, le promesse da mantenere, i segreti, dov'è finito?


    Sollevò di nuovo il capo verso di lei, le guance rigate di lacrime, ma il viso non era ancora contratto nel pianto, come se stesse sì piangendo, ma non se ne fosse ancora accorta, non vi avesse ancora messo tutta se stessa.

    Dove va a finire l'amore quando finisce?
     
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    Gli occhi di Joy iniziarono a liberare lacrime silenziose e regolari, che non sfociavano in un pianto rabbioso come quello cui Winter aveva assistito mesi prima, ma sembravano invece fluire in modo naturale dal suo corpo per accompagnare parole che forse erano rimaste inespresse troppo a lungo. Le rovesciò addosso racconti, che la ragazza ascoltò in silenzio, e poi domande, cui proprio non aveva una risposta.
    Non si era mai trovata nella sua condizione e questo forse le impediva di capire fino in fondo cosa provava la ragazza. Riusciva solo a percepire dalla sua voce, dalle domande, dal volto rigato e da quell’arrendevolezza innaturale quanto tutto questo l’avesse colpita nel modo più profondo possibile, quanto questo sentimento l’avesse avvolta profondamente per poi strapparle parti di sé, lasciandola sofferente e incredula. Si sentì fortunata. Se innamorarsi significava rischiare così tanto, cambiare così tanto, soffrire così tanto, allora era fortunata a non aver mai provato nulla del genere. Pensò ai suoi genitori e si chiese se anche loro avevano sofferto come Joy stava facendo ora, senza che lei se ne accorgesse. Se avevano pianto in silenzio e se, oltre alla rabbia che ogni tanto aveva percepito, c’era stata tutta quella delusione e quel dolore. Sì, probabilmente c’era stato, e lei per la prima volta empatizzò con due persone che avevano complicato la vita a lei e Brittany con la loro separazione, ma che non avevano mai ricevuto un sorriso empatizzante da chi viveva con loro. Si meravigliò di se stessa e dell’insensibilità di cui era stata capace, domandandosi se con Joy sarebbe riuscita a fare di meglio, nonostante la salivazione azzerata e le famose parole giuste da dire che proprio non le tornavano alla memoria.

    Io… Non lo so.

    Non sapeva cosa ne era stato di lei e Greengrass, non sapeva cosa era successo tra loro, non sapeva neanche come si faceva a passare da amarsi così tanto a non voler condividere più nulla con l’altra persona. Segretamente pensava che Joy e Greengrass non fossero mai stati fatti della stessa pasta e le piaceva pensare che, in fondo, la vera Joy fosse quella a cui si era abituata prima di gennaio. Ma questo era illudersi: perché anche se ora non erano più fusi in quel sentimento di coppia, Joy dopo Greengrass non sarebbe tornata ad essere la stessa, come se lui non fosse mai esistito. Quella relazione l’aveva avvolta e trasformata, fatta crescere, e forse un giorno avrebbe potuto leggere tra tutte quelle lacrime un'esperienza che comunque le aveva insegnato qualcosa. Ma era troppo presto per questo, e allora Winter decise di tenersi su toni più generici.

    Forse qualcosa è cambiato. Lui, tu, non lo so.
    Però penso che l’amore si trasformi, in qualche modo.


    Le scuole babbane le avevano insegnato che “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, e Winter pensava che tale principio andasse applicato anche ai sentimenti.

    A volte si affievolisce pian piano, altre volte invece si trasforma in emozioni altrettanto forti, ma diverse.

    Odio, questa era la parola che Winter non voleva pronunciare. Perché se c’erano rapporti che si scioglievano lentamente, come quello dei suoi genitori, dando luogo a una traballante amicizia, ce ne erano altri che erano violenti in tutto: nella nascita turbolenta, nella crescita ardente, nella fine drastica. Quest’ultimo le sembrava, a priori, il caso di Joy e Gideon. Eppure non vedeva impeto nella Grifondoro, ma soltanto dolore e stanchezza. Del resto, sapeva molto poco della loro storia, per sua scelta. Aveva deciso di interrompere ogni rapporto con Joy non appena aveva saputo di quali sentimenti la legassero all’Alfiere, ma ora avrebbe davvero voluto poter fare qualcosa per alleviare le sofferenze dell’amica.
    Era preoccupata per la condizione fisica dell’altra: non l’aveva mai vista così debole, ed era sicura che non si sarebbe risparmiata negli allenamenti in vista della finale. Non volle però caricarla di altre frasi banali, avvolgendola piuttosto in un abbraccio, se lei avesse voluto, e continuando ad ascoltarla, qualsiasi cosa avesse voluto raccontarle.
     
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