The Climb

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    [20 aprile, primo pomeriggio]


    Doveva ricordarsi di ringraziare Connie, una volta tornato a Nort Berwick. L’amica babbana doveva essersi presa un bel colpo nel vedere un gufo appollaiato sul poggiolo della finestra di camera sua; eppure, dopo aver letto la lettera, sembrava non essere rimasta molto colpita dalle diverse confessioni contenute all’interno. Sì, perché nonostante tutte le richieste da parte dei suoi genitori di non far sapere a nessuno dove andasse per nove mesi all’anno, alla fine Elliott aveva ritenuto corretto spiegarlo all’amica di infanzia. Le aveva scritto di Hogwarts, della magia, e le aveva assicurato che una volta tornato ne avrebbero parlato a lungo. Le aveva chiesto solo di tenere quel segreto per sé, e se conosceva l’amica non c’erano dubbi sul fatto che l’avrebbe fatto. Tutto era partito da una richiesta, ossia di inviargli scarpette da arrampicata, magnesite e un tappetino di quelli che si potevano chiudere su se stessi per le cadute. Aveva pagato per un gufo adatto al trasporto di oggetti pesanti e una decina di giorni dopo questo aveva fatto ritorno, non solo con ciò che aveva chiesto, ma anche con un libro proprio sul bouldering e una lunga lettera intrisa di curiosità e rimproveri per non averle detto nulla fino a quel momento. Non era un esperto di arrampicata, ma con i suoi amici era capitato che provasse a fare qualche percorso e aveva deciso, come obiettivo dell’estate, di diventare più bravo, allenarsi e perché no, magari andare nella palestra dove si ritrovavano i suoi amici. Inoltre, stando lontano da Setoshi e Sabrina, i momenti liberi erano aumentati esponenzialmente, e anche il suo bisogno di sfogarsi in qualche modo.
    Per questo quel pomeriggio, dopo l’ora di pranzo, aveva preparato lo zaino con tutto il necessario e si era incamminato verso la valle, in cerca di una parete o di un masso abbastanza grande che facesse al caso suo. Il sole splendeva alto nel cielo, ma all’orizzonte grossi nubi nere preannunciavano la pioggia che dal giorno seguente sarebbe caduta imperterrita sopra Hogwarts e le loro teste. Aveva camminato per sentieri conosciuti e poi, trovatosi davanti ad un bivio, aveva svoltato verso una zona che non aveva mai esplorato. Dopo una mezz’oretta stava per arrendersi al fatto che non ci fosse nulla di interessante da quelle parti ma, superata una curva, vide una bella parete, non troppo alta, con prese fattibili anche per uno del suo livello. Uno dei tanti ruscelli la fiancheggiava, distaccati da un bel prato. Lì vicino c’era un grande albero, che invitava a fermarsi sotto l’ombra delle sue fronde. Appoggiò lo zaino e cominciò a prepararsi: butto il tappetino nella parte finale, dove la caduta si sarebbe fatta più pericolosa, si cambiò le scarpe, si tolse la maglia rimanendo solo i pantaloni della tuta, e cominciò a cospargersi le mani con la magnesite, dal tipico color bianco, per rendere le mani poco scivolose. Provò le prime volte, con scarsi risultati, ma tentativo dopo tentativo, caduta dopo caduta, cominciò a capire i movimenti e le tecniche, spingendosi sempre più in alto, cercando di prendere slanci e spingendosi sulle gambe, come gli avevano consigliato i suoi amici babbani.

    Elijah T. Johnson
     
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    Elijah non c’aveva ancora pensato, a raccontare ai suoi amici di sempre che fine avrebbe fatto di lì ai prossimi anni durante la scuola, perché non avrebbero frequentato la scuola insieme, lui che nel Mondo Babbano era già al terzo anno di scuola secondaria e quel settembre non si era presentato in classe con quelli che erano stati i suoi compagni fin dall’asilo – non c’erano molti ragazzini della sua età a Toome – ma aveva invece iniziato a studiare col suo personale tutore magico. Erano già andati a cercarlo, più e più volte, e ciò che sapevano di lui era che aveva semplicemente cambiato scuola, cominciando a frequentarne un’altra in un altro villaggio. Non erano sembrati nemmeno troppo dispiaciuti, chè Elijah non era nemmeno la persona più socievole del gruppo ed anzi, forse loro sarebbero stati anche meglio senza qualcuno che rischiava di farli sentire sempre stupidi e poco acculturati con le sue affermazioni, o che volesse sempre mostrare di essere il migliore, nonostante provenissero tutti dallo stesso villaggetto di campagna.
    In ogni caso non lasciava troppo spazio a quei pensieri nella propria mente, più impegnato in quel periodo a cercare di sopravvivere ad un mondo praticamente nuovo per lui. Gli sarebbe semplicemente bastato presentarsi a tutti per quel che era, essere sé stesso, e di sicuro ci sarebbero state molte persone ad aiutarlo. Invece no, lui si vergognava di quello che era e delle sue origini, ecco perché nessuno doveva conoscerle.
    Allo stesso tempo doveva essere lui a conoscere chi aveva intorno e, nel mentre, anche il luogo in cui si trovava. Anche se su Hogwarts e sui propri compagni, l’ignoranza era ammessa, che non avrebbe potuto saperne nulla al riguardo neanche venendo proprio dal Mondo Magico.
    Di fatto, in quel momento era abbastanza convinto di essersi perso: vagava per le valli di Hogwarts seguendo sentieri un po’ a caso, senza sapere bene come fosse arrivato fin lì ma abbastanza certo che la propria memoria l’avrebbe aiutato a tornare indietro in caso di necessità. In quel momento continuava ad inoltrarsi nella valle, senza sapere bene fin dove sarebbe arrivato.
    Ad un certo punto del sentiero notò uno zaino e quelle che gli sembravano dei vestiti poggiati accanto a questo. Si incuriosì e raggiunse quel punto del sentiero, notando a quel punto una figura che se ne stava aggrappata alle rocce di una parete senza maglietta, un tappetino a terra. Impiegò qualche istante a rendersi conto che quel ragazzo lo conosceva già. Era un suo compagno di Casa, in quelle prime settimane l’aveva visto spesso: Elton, forse? Non ne era troppo sicuro, in ogni caso decise di evitare di chiamarlo per non fare qualche figuraccia.

    Insegnano anche questa roba qui ad Hogwarts?

    Chiese, senza essere troppo esplicito sul conoscere o meno l’arrampicata come sport. Era piuttosto certo fosse qualcosa di molto babbano, per cui avrebbe atteso di riuscire ad intuirlo o meno prima di esprimersi al riguardo. Fatto stava che osservava l’altro, consapevole di poterlo anche spaventare, le braccia incrociate al petto, una borsa a tracolla con sé ed addosso dei vestiti semplici ma che aveva acquistato in dei negozi di vestiti magici, per essere certo di non dare indizi sulle proprie origini babbane.

    Edited by Elijah T. Johnson - 28/4/2024, 14:40
     
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    Aveva faticato parecchio per arrivare fino a quel punto. La parte complicata era stata saltare dal fine bordo di roccia e riuscire ad aggrapparsi in tempo alla sporgenza, senza cadere miseramente come gli era capitato fino a quel tentativo. Si era un po’ graffiato ma niente di grave, almeno secondo gli standard di Hogwarts. A confronto infatti dei tagli dovuti ai rami del Platano, quello era niente, semplicemente una caduta finita male e per il quale si era andato a scontrare contro la roccia tagliente.
    Ce l’aveva fatta alla fine, ed ora era lì appeso in cerca di raggiungere la prossima presa. Doveva fare un balzo, cercare di mettere i piedi in una insenatura alla sua sinistra e con le mani cercare di afferrare i due rialzi poco sopra. La parete in quel tratto si era fatta un po’ ricurva e, buttando un’occhiata verso il terreno, doveva essere circa a due metri e mezzo di altezza. Da quel che aveva capito fino a quattro e mezzo le sue ossa sarebbero rimaste al sicuro, un dettaglio non trascurabile visto che erano già state messe a dura prova in altre occasioni.
    Cercò di liberare la mente, essere presente a se stesso e al suo corpo soprattutto. Respirò profondamente e si sbilanciò, cercando di darsi una bella spinta e saltò, ma proprio mentre le sue mani e i suoi piedi stavano per staccarsi da quelle prese sicure, una voce alle sue spalle lo distrasse.
    -Insegnano anche questa roba qui ad Hogwarts?-
    Le mani erano state un po’ più lente delle gambe e quel passo in più nella scalata gli era costato un po’ di pelle, oltre che la sensazione terribile di star per cadere. Mugugnò piano per il bruciore ma passati gli attimi iniziali si accorse che tutto sommato i palmi non gli facevano poi così male. La voce non gli era parsa familiare, e visto che si trovava di spalle non era ancora riuscito a vedere chi avesse avuto l’ottima idea di non annunciarsi prima di parlare.
    -No, non direi, ma le occasioni per spezzarsi qualche osso non mancano.-
    Rispose con tono leggermente aspro. Si lasciò cadere e finalmente poté vedere chi fosse il misterioso ignoto che aveva fatto la sua comparsa lì da chissà quanto. Si girò verso di lui, dopo aver appoggiato i piedi saldamente a terra, e incrociò le braccia, esattamente com’erano quelle dell’altro. Johnson, l’ultimo arrivato tra le fila dei corvonero, doveva aver ceduto al fascino dei monti scozzesi o alla curiosità di scoprire cosa ci fosse di interessante nei dintorni del castello.
    -Potevi farti sentire prima di parlare comunque. Mi hai distratto.-
    Disse con un mezzo sorriso pungente, mentre si avvicinava all’acqua fresca per sciacquare un po’ le mani impolverate e sbucciate.
    -Johnson, giusto?-
    Chiese accovacciato sulla riva del ruscello, beandosi un po’ del sollievo che il gelo stava dando ai suoi palmi.
    -Il nome non lo ricordo, scusa.-
    Non che si fossero mai presentati sul serio comunque; a lui era sembrato piuttosto che ad un certo punto il ragazzo fosse semplicemente spuntato tra quelli del quarto anno. Da quel che aveva capito doveva provenire da una famiglia purosangue, anche se Johnson gli sembrava in tutto e per tutto un cognome babbano. Non tutto però era ciò che sembrava, perciò immaginava che ne avrebbe saputo di più passando un po’ di tempo direttamente con lui. Adesso che stava avendo l'occasione di osservarlo meglio non gli riusciva difficile pensare che fosse carino, con due grandi occhi scuri ed espressivi che non aveva notato fino a quel momento.
    -Ti sei perso?-
    Domandò tornando vicino al corvonero e fermandosi finalmente a poca distanza da lui. Gli sembrò una domanda lecita visto che, tra quelli disponibili, quello non era di certo uno dei luoghi più facilmente raggiungibili.

    Elijah T. Johnson
    Elliott non cade ma si sbuccia i palmi delle mani (dado qui)
     
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    Continuava ad osservare con fare interessato il compagno di Casa aggrapparsi da una sporgenza all’altra, saltando come una scimmia, e per un attimo ebbe il timore di vederlo schiantarsi al suolo facendo invece la fine di un frutto che cadeva dall’albero e finiva spiaccicato sul terreno. Era appena arrivato ad Hogwarts, non aveva alcuna voglia di essere l’unico testimone della morte di un compagno. Invece il più grande riuscì in qualche modo ad evitare di cadere, e sembrava sul punto di fare un altro salto quando lui parlò e notò l’altro bloccarsi.

    Ops.

    Pensò tra sè e sè. Doveva averlo distratto. Piegò appena il capo alla sua prima risposta, ché non era la prima volta che sentiva una cosa del genere riguardo quella scuola di Magia. Non si capacitava di come un posto dove c’erano tutti quei maghi e quelle streghe esperte come lo erano i professori e tutti quelli che lavoravano lì dentro potesse davvero essere un luogo così pericoloso, dove gli studenti e le studentesse rischiavano di farsi male sul serio. Non aveva idea, piccolo ed ingenuo figlio dell’estate, di cosa accadeva tra le ombre e la polvere dei corridoi.
    Non disse nulla in un primo momento, limitandosi a guardarlo scendere da quella parete per poi avvicinarsi a lui.

    Forse sei tu che non mi hai sentito. Non ho mica il passo leggero.

    Era ovvio che Elliott non l’avesse sentito, ma perché era troppo concentrato a cercare di non morire e non di certo perché era sordo. Ma Elijah aveva quel modo di far per cui difficilmente accettava di essere in difetto, come lo era in quel caso, cercando scuse e giustificazioni nel comportamento altrui invece che nel proprio. Non il modo migliore per farsi volere bene in una scuola in cui era appena arrivato praticamente a ridosso della fine dell’anno.

    Elijah.

    Aggiunse per completare le informazioni dell’altro, mentre lo osservava attentamente pulirsi le mani, accovacciarsi sulla riva del ruscello. Lo studiava, così come studiava qualsiasi cosa passasse davanti ai suoi occhi e sotto il suo naso da quindici anni a quella parte.
    Si era perso?

    No.

    E invece sì. Ma cosa cambiava ad Elliott sapere se si fosse perso o meno?

    Tu sei Elliott, vero?

    Era un nome che ricorreva spessissimo tra le mura della Sala Comune dei Corvonero, il suo. Ed era da lì che Elijah aveva necessariamente cominciato a guardarsi intorno per capire meglio chi fossero le persone che lo circondavano e con cui avrebbe dovuto condividere poco più di tre anni della sua vita, ma per intero.

    Vieni spesso qui?

    Le braccia ancora incrociate al petto, non un passo mosso verso di lui, come inchiodato al terreno. MA non aveva mai staccato le iridi scure da lui.
     
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