Il Traditore e la Nata Babbana

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    Grifondoro
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    Il giorno dopo gli attacchi


    Poche ore dopo l'intervento del Medimago Alvey sulla sua ferita, Celine non aveva ancora aperto bocca, neanche quando la nonna l'aveva abbracciata così forte da farle ringraziare il cielo di trovarsi in ospedale o quando il padre aveva detto di essere felice di vederla, affermazione che la scombussolò più di qualunque altra cosa, persino più dell'idea che degli sconosciuti avessero attaccato altri studenti - lei inclusa - fino a marchiargli la pelle a fuoco.
    La sua imperturbabilità, di fatto, venne spezzata quando le dissero che anche altri ragazzi erano stati presi di mira insieme a lei e cioè Eren, suo compagno di Casa e Christian, probabilmente una delle persone più care che aveva ad Hogwarts.
    Celine aveva accolto quella notizia tornando a fissare il soffitto per minuti interminabili, quasi fosse il migliore interlocutore di sempre: d'altronde, non avrebbe potuto aprire bocca neanche volendo. Qualcuno - e non era difficile capire chi -, aveva deciso di prendersela con un Traditore, un Sangue Marcio e una Nata Babbana, i peggiori nemici degli Alfieri Rossi e per motivi che probabilmente erano noti soltanto a Merlino dall'oltretomba.
    Era tutto così assurdo, tutto così ingiusto e irrazionale che qualcosa di sconosciuto riuscì ad insinuarsi fra le pieghe dell'indifferenza e farle provare qualcosa di inedito, qualcosa di forte, semplicemente qualcosa: la rabbia.
    La rabbia bruciava dentro al petto come un fuoco, probabilmente lo stesso fuoco sopito che l'aveva spinta fra i Grifondoro, lo stesso fuoco che adesso bramava di lasciare le difese delle labbra e perdersi in urla infinite.
    Era rimasta a rimuginare in silenzio fino al pomeriggio, per poi scoprirsi ancora in possesso di una voce quando con tono roco si rivolse ad uno dei Medimagi che di tanto in tanto venivano a darle un'occhiata.

    Vorrei vedere Christian Carrington, se possibile.

    La rabbia, finalmente, le aveva dato la forza di parlare e soltanto per rivolgersi a chi sapeva potesse essere arrabbiato almeno tanto quanto lui, il Traditore.

    Post di riposo post cure 2/5
     
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    Guardava fuori dalla finestra di quella stanza del San Mungo il mondo andare avanti come se nulla fosse accaduto. Si erano tutti allarmati per qualche ora, ma poi le vite di ognuno erano continuate così come le avevano lasciate prima di sapere dei marchiati e delle orribili gesta compiute da qualche studente. Soltanto per chi era davvero stato vittima di quella sera, nulla era tornato come prima - e con ogni probabilità non sarebbe successo mai: le cose per loro erano mutate indelebilmente, in misura più o meno grande, e adesso era solo compito loro fare i conti con quanto gli era accaduto. C'erano tanti pensieri che gli frullavano in testa in quel momento, e Christian ormai aveva capito che l'unico modo per gestirli era lasciare che ci fossero, senza perdere tempo a scacciarli via.
    Quando all'imporvviso sentì qualcuno bussare alla porta, con uno scatto tornò sul letto, ché aveva paura che si trattasse di un Medimago, lo stesso che gli aveva suggerito di non muoversi da lì se non per andare in bagno, così da ritornare in forze prima.

    Celine.

    Quando la porta si aprì e la vide non potè che alzarsi e andarle in contro, facendo appello a tutte le poche forze che in quel momento gli rimanevano in corpo. Quando se la trovò davanti, la strinse a sé senza chiederle permesso, con decisione ma senza perdere la delicatezza che lo contraddistingueva e differenziava da quasi tutti gli altri ragazzi. Non voleva invadere gli spazi dell'amica, ma dovette rispondere all'esigenza di avere vicino un volto amico e importante come quello della Grifondoro, forse unica persona che poteva, per ovvi motivi, capire come sei stava sentendo su quel lettino del San Mungo.

    Quando ho saputo che c'eri anche tu ho subito chiesto di vederti.
    Vieni qui.


    Si accomodò sul letto e le fece spazio, cosicché potesse sedersi lì accanto a lui o addirittura stendersi per poter stare più comoda. A lui la posizione non interessava, ché in quel momento averla anche soltanto vicina era tutto ciò di cui aveva bisogno: aveva spesso detto che, fin da quando si erano conosciuti, lui e Celine avevano protetto l'uno le cicatrici dell'altra, ed era evidente che la Dea Bendata volesse che continuassero a farlo ancora con quelle nuove ferite che li accumunava. Una volta posizionata, sapeva di dover iniziare lui a parlare, ma le parole gli morivano in gola.
    Quanto rimarremo qui?
    A Scuola lo saprenno?
    Chi credi che siano i responsabili?
    Perché a noi?
    La cicatrice rimarrà per sempre?
    Nessuna domanda sembrava quella giusta, ché dentro di sé Christian aveva già tutte le risposte che gli servivano, anche se alcune faceva più fatica ad ammetterle di altre. Distese allora le braccia lungo i fianchi, lasciando che la cicatrice fosse visibile a chiunque la osservasse, ché, essendo fresca, non era affatto difficile da notare. Non ne avrebbe però fatto cenno con Celine, né gliel'avrebbe volutamente messa davanti agli occhi: se era una conversazione che aveva subito intenzione di fare, allora lo avrebbe fatto lei, con i suoi tempi e senza pressioni alcun tipo; magari per lei era un fatto particolarmente doloroso e Christian non aveva intenzione di spremere nulla a nessuno, specie in giornate così difficili.

    Cosa succederà adesso?

    Lei non poteva saperlo, questo era ovvio, ma sperava che riuscisse a dargli una risposta che fosse migliore delle tremila che lui si era dato fino a quel momento, una peggiore dell'altra.

    Scusami tantissimo per il ritardo, sarò moooolto più celere 💛
    Post di convalescenza 1/5


    Edited by Christian Carrington - 7/5/2024, 17:12
     
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    Il profumo di Christian era ciò che più di ogni altra cosa la faceva sentire a casa, anche più dell'odore di biscotti di sua nonna o di muschio del padre.
    Si lasciò cingere dalle sue braccia senza opporsi, cercando anzi di starvi il più vicino possibile, comprendendo soltanto in quell'istante quanto nessun altro potesse capire ciò che stava provando, e non soltanto riguardo al dolore al braccio.
    Si lasciò quindi guidare verso il letto, cercando uno spazio per sé fra le pieghe delle lenzuola, poggiando il capo sulla spalla di Christian.
    Alla sua domanda, Celine non rispose subito. Rimase piuttosto a fissare il soffitto in silenzio, lasciando che fra lei e il Serpeverde si frapponesse soltanto il suono dei loro respiri per secondi che parvero interminabili.
    Avrebbe voluto rispondere che adesso l'obbiettivo era dare la caccia ai loro assalitori, fare fuoco e sangue per arrivare a delle risposte; eppure non disse nulla, forse perché in quel momento tutto ciò che davvero voleva era tornare indietro del tempo e impedire a quei fatti di verificarsi in primo luogo.

    Adesso ci terranno prigionieri finché non lo diranno loro, immagino.

    Esordì all'improvviso, portandosi le mani agli occhi per schiacciarli con il pugno chiuso e poi stendere le braccia verso l'alto, dietro il capo. Spinse con il corpo per trovare una posizione un po' più comoda, inclinando il capo lateralmente in cerca degli occhi azzurri del compagno, che in quel momento sarebbero stati per lei come uno specchio.

    Ma so anche che non era questo quello che intendevi.

    Celine si sarebbe osservata attraverso il riflesso nei suoi occhi, scoprendo un volto scarno, stanco, emaciato dall'angoscia e dalla paura, irrigidito dalla rabbia.
    Portò poi lo sguardo verso il basso, sulla pelle del Serpeverde, in particolare sulla sua ferita. Senza chiedergli alcun permesso, provò a scostare leggermente la garza per mostrare la lesione e leggere con i suoi occhi le incisioni, assicurandosi che non ci fosse alcun Medimago nei paraggi a rimproverarli. A quel punto, fece lo stesso con la sua, incrociando il braccio con quello di Christian perché le due scritte si mostrassero davanti ai loro occhi in tutto il loro oscuro splendore.

    Il Traditore e la Nata Babbana.

    Sorrise fra le labbra strette, Celine, ma non c'era nulla che riportasse alla gioia o all'allegria.

    Che coppia, eh?
     
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    Come da aspettative, la presenza di Celine, non appena invase la stanza, gli scaldò il cuore in un modo che soltanto a lei tra tutti riusciva. Anche Maxwell ed Eunjoo, a loro modo, riuscivano a fargli del bene, ma erano tre maniere del tutto differenti e che Christian aveva imparato ad apprezzare e a preferire, se così possiamo dire, in questo o quell'altro momento. E nella situazione in cui stava, nessuno più di lei avrebbe potuto aiutarlo a sorridere, forse proprio perché nessuno più di lei avrebbe potuto capire come stesse.

    Sarebbe bello almeno viverla insieme, questa prigionia. Credi di poter chiedere di essere spostata qui?

    Christian amava la solitudine da sempre, e non aveva nemmeno mai faticato a viverci. Non soltanto perché in una casa come Villa Carrington era molto facile non incontrare anima viva per tutto il giorno, viste le decine e decine di stanze da cui era composta, ma anche perché il suo carattere aveva sempre allontanato le persone, molto più che avvicinato - e lui di ciò era entusiasta, a dire la verità. Doveva però ammettere che Celine era forse l'unica persona che in quei giorni di prigionia, tanto per riprendere il termine usato dalla ragazza, avrebbe voluto avere con sé, nella speranza che le ore potessero passare più rapide se trascorse a chiacchierare, a lamentarsi o a fare qualsiasi tipo di gioco improvvisato. Ma se questo fosse effettivamente possibile dovevano chiederlo a qualche Medimago.
    Non oppose alcuna resistenza, e anzi incoraggiò, l'arrivo di Celine sul suo letto e i suoi tentativi di farsi spazio, così come il suo delicato modo di spostare la garza per leggere con chiarezza la sua ferite. "Traditore", era così che gli Alfieri Rossi lo avevano marchiato per motivi talmente ovvi che nessuno ancora aveva avuto la premura di spiegargli, e intanto Christian ancora si domandava se traditore lui ci si sentisse davvero: poteva davvero aver tradito qualcuno con cui non era mai entrato in relazione e a cui non aveva mai fatto alcuna promessa? E se era dei Purosangue che parlavano, lui Purosangue lo era e si sentiva tale, ma allo stesso tempo non credeva di aver tradito loro affrontando gli Alfieri - perché altrimenti ci sarebbero state migliaia di famiglie Purosangue da castigare allo stesso modo.

    Lo eravamo anche prima di tutto questo.
    E la tua "t" l'hanno fatta meglio della mia...


    Sorrise, tentando di ironizzare su una sciocchezza come il modo in cui avevano scritto la lettera "t" nei due termini con cui erano stati chiamati. Non era vero, in realtà, che la sua fosse effettivamente più brutta - sebbene fosse diversa, data la diversa mano che l'aveva incisa - ma era l'unica cosa che gli era venuta in mente per alleggerire la tensione.
    Poi, però, si chiese perché si fosse sentito in dovere di farlo, ché con Celine non c'era bisogno di nascondere nulla del suo stato d'animo e del suo dolore: non l'avrebbe mai giudicato o usato contro di lui, ma anzi, ne era sicuro, avrebbe saputo capirlo anche solo stando in silenzio. Come sempre.

    Se ti sembro sereno, Celine, sappi che non lo sono. Fingo.

    E glielo stava dicendo soltanto perché tutto ciò che voleva era che tra loro due ci fosse completa sincerità, così come c'era stata fin dalla prima volta in cui si erano incontrati l'anno precedente. Era quello che tra tutti i pregi della ragazza lo aveva conquistato di più, quella completa, assoluta e delicata onestà, utilizzata come strumento per fare del bene e non del male.
    Riprese allora la domanda che per primo lui aveva posto all'altra, tentando di rispondervi secondo il suo pensiero. Cosa sarebbe successo da quel momento in avanti?

    Io credo che cambierà tutto. Vorrei poter dire che saremo gli stessi, ma come possiamo fare dopo una cosa del genere?

    Scosse allora il braccio, spostando l'attenzione sui loro due marchi.

    Le ferite non andranno più via, perché credere che tutto quello che ci portiamo dentro sì?

    Convalescenza 2/5


    Edited by Christian Carrington - 7/5/2024, 17:12
     
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    A contatto con il Serpeverde, a Celine pareva di sentire il suo cuore battere, se non urlare, sotto il peso della paura e dell'ignoto, incapace di biasimarlo e anzi riconoscendosi incastrata fra gli stessi pensieri. La vulnerabilità di Christian in quel momento era alle stelle, poteva sentirla nel modo in cui pronunciava le parole, nel volto scavato dall'insonnia, nei brividi che percorrevano il suo corpo. Anche lui non era immune al dolore, contrariamente a quanto voleva far credere, e avere il consenso di osservarlo in quello stato, di poter mettere mano dentro quella sofferenza, fu per lei fonte di estremo orgoglio.

    Certo che posso chiederlo.

    Rispose celere, immaginando già le lamentele dei Medimaghi ai quali avrebbe cercato di opporsi con fermezza.

    Spero che la loro pietà possa concederci qualche capriccio.

    Se di capriccio poteva trattarsi, considerato quanto avevano vissuto e quanto bene potevano racimolare l'uno dall'altra, anche soltanto nel silenzio: questo era migliore se a condividerlo con lei c'era Christian.
    Lo ascoltò poi provare a fare una battuta e, subito dopo, tingersi di nuova serietà. Non lo guardò negli occhi in quell'istante, colma di un improvviso calore che inizialmente faticò a riconoscere: era come se l'orgoglio di avere avuto accesso a quella parte completamente oscura del compagno si fosse improvvisamente tramutato in imbarazzo, l'imbarazzo di sfiorare qualcosa di così privato senza avere gli strumenti giusti per accoglierlo. Sorrise, ma senza alcuna gioia nel volto.

    Se cerchi ottimismo, sono la persona sbagliata.

    Il pessimismo cosmico di Celine era cosa nota: qualcun altro forse avrebbe cercato di scavare fra le parole di Christian per ritrovarci un po' di speranza; la cosa migliore che poteva fare lei, invece, era rimanere in silenzio per evitare di peggiorare la situazione.

    Però posso dirti questo: sono arrabbiata.

    Per la prima volta da secoli, Celine riconobbe ad alta voce un suo stato d'animo: una conquista, considerato ciò che tempo prima aveva detto al compagno, ossia la sua incapacità di provare emozioni o comunque di dargli un nome.
    Quella in particolare era emersa prepotente, sprigionando un potenziale in lei appena sbocciato o forse semplicemente sopito.

    E la rabbia di solito non è un'emozione che mi appartiene.

    Cosa avrebbero potuto farsene? Non lo sapeva, ma qualcosa le diceva che prima o poi le sarebbe tornata utile.
     
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    La stanza che le avevano indicato era deserta, ma le lenzuola dicevano che qualcuno ci era ricoverato per certo. Odette si guardò intorno circospetta come una ladra, poi si affacciò ancora, casomai fosse apparso qualcuno, nel tempo di un pensiero. Niente. Probabilmente era la stanza giusta, ma aveva sbagliato il momento. Si guardò ancora alle spalle, ma il corridoio era il solito viavai di colleghe e colleghi, con qualche grido di dolore da una stanza poco fortunata oltre l'angolo. Niente di insolito.
    Sbuffò, si tirò un lembo del camice con un gesto nervoso e s'incamminò affrettata verso le ultime stanze. Il tempo non era dalla sua parte, e sembrava preoccuparsene fin troppo. Accorciava il passo vicino a una porta, e la spingeva appena con la mano se la trovava chiusa.
    Non aveva altro modo per riconoscerla se non chiamarla per cognome e vederla voltarsi, ma in nessuna stanza ebbe la sensazione che fosse necessario. Semplicemente lei non era lì, e neanche lì, e lì nemmeno.
    Quando si accorse che le mancavano tre stanze alla fine del reparto sentì Il cuore scoppiarle in gola. Doveva essere un errore, o forse un'omonimia. Ma poteva essere quell'omonimo, tra i maghi e le streghe inglesi?
    La penultima porta era socchiusa. La spinse appena, con le dita che quasi picchiettavano sul legno dal tremore. La prima cosa che vide fu una chioma rovente: l'ospedale l'aveva arruffata, ma bruciava più viva che mai. Come la sua.

    Ba-xter.

    Deglutì tra una lettera e l'altra, spezzando la parola in due. La porta era spalancata ma la mano insisteva ottusa a spingerla, e semplicemente non se ne rendeva conto.
    Sentì gli occhi ribollire. Tossicchiò, si tirò il camice, in qualche modo ributtò giù le lacrime prima che accadesse un completo disastro, squadrò il ragazzo: non aveva la più pallida idea di chi fosse. Ma per la ragazzina il cognome stesso sarebbe stato superfluo. Se le avesse risposto "ma io non sono Baxter" non le avrebbe creduto.
    Non aspettò neppure che le desse un qualsiasi cenno, una risposta.

    N-non è la tua stanza, questa.

    Sentenziò, e fu tutto ciò che riuscì a dire. Sbatteva a malapena le palpebre, paralizzata sul posto. La maledetta mano non smetteva di spingere la porta ormai piantata contro il muro. La bocca si apriva e chiudeva sempre sul punto di dire una parola in più, e rinunciando all'ultimo istante.
    Aveva solo i capelli rossi e gli occhi chiari come il cielo. Migliaia di ragazzine li avevano. Negò. Realizzò all'improvviso che era al San Mungo, che quindi qualcosa le era accaduto. Però era seduta, in un'altra stanza: forse non era così grave. Sospirò.
    Una voce inaspettata alle sue spalle le gelò il sangue nelle vene: Odette si voltò di scatto, in apnea, ma era solo un medimago di passaggio, ormai già lontano, verso le scale.
    Stiracchiò un sorriso imbarazzato e si voltò nuovamente verso la stanza. Si accorse persino che la mano continuava a spingere, e la staccò. Poi usò l'indice contro il ragazzo.

    È la tua stanza, vero?

    Si sembrò minacciosa senza volerlo. Lasciò precipitare il braccio e sorrise più convinta, o solo con più denti. La chioma della giovane ora la accecava e non aveva più il coraggio neppure di sfiorarla con lo sguardo. Si domandò perfino perché fosse entrata in quella stanza, e quando aveva respirato a fondo l'ultima volta.
     
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    Non si erano scambiati che qualche parola, eppure Christian era si sentiva già più sereno. La sua voce, il suo profumo, la sua schiettezza e ironia tagliente: erano tuti ingredienti dell'antidoto che al ragazzo serviva per stare bene.

    E' proprio per la tua mancanza di ottimismo che sei la persona giusta.

    Che Celine non fosse un'eruzione di gioia e voglia di vivere era un fatto di cui Christian aveva già ampiamente preso nota, e in tutta onestà era una delle cose che preferiva di lei. Lui odiava con tutto sé stesso chi fingeva sempre il sorriso e sostentava un'entusiasmo che non soltanto era diabetico, ma addirittura fuori luogo nel novanta per cento delle occasioni. Era necessario nella vita saper soffrire e vedere le cose per come stavano, e la ragazza non gli impediva mai di farlo, ma anzi lo incoraggiava. Un amico che gli asciugasse le lacrime e lo distraesse già lo aveva, Celine era quella che lo capiva e accompagnava nel suo dolore, e gli era indispensabile.
    E come lo storico delle loro conversazione gli aveva già suggerito, anche quella risposta della Grifondoro riuscì a dargli sollievo pur non essendo colorata di luce e arcobaleni, ché lo mise di fronte al fatto di non essere il solo a provare determinate cose.

    Beh, lo consideriamo un progresso.

    Affermò in prima battuta, lasciando volutamente l'oggetto del suo discorso per qualche attimo sospeso.

    Ricordi quando mi avevi detto di non riuscire a sentire niente? Ecco, se qualcosa di buono ha portato questa situazione è che adesso qualcosa la senti.

    Sebbene si rendesse conto che quella poteva sembrare una battuta, Christian era del tutto serio, e lo si capiva bene anche solo dal tono di voce utilizzato - anche perché non avrebbe scherzato con così tanta leggerezza su un argomento di quel tenore, specie perché sapeva quanto stesse a cuore a Celine. Era ovvio che sarebbe stato meglio provare gioia o entusiasmo invece che rabbia e frustrazione, ma da qualche parte era necessario partire, anche se non dal punto che ci si aspettava. Era dunque, sotto un punto di vista forse un po' controverso, un risultato di cui essere contenti.
    Adesso lo incuriosiva anche sapere in cosa quella rabbia poteva tramutare, ma immaginava che lo avrebbe capito soltanto con il tempo.

    Adesso magari ci impegniamo a farti sentire qualcosa di pi-

    Di più piacevole, avrebbe terminato di dire, ma la sua lingua fu messa a freno nel momento esatto in cui vide la porta aprirsi e una Medimaga in camicie entrare nella sala. Non si preoccupò di quello che poteva pensare di loro due lì insieme, né temette una ramanzina per non essere rimasti a riposo come era stato chiesto loro; l'unica cosa che si domandò, in effetti, fu dove fosse la dottoressa Levischiemdt, ché era stata lei a prendersi in carico il suo caso e ad avergli dato ciò di cui aveva avuto bisogno in quei giorni di convalescenza. Si rispose però che forse lei era la Medimaga di Celine, e non si azzardò dunque a chiedere nulla - e la sua ipotesi era sostenuta dal fatto che avesse fatto solo il cognome dell'altra e non anche il suo.
    Fu confuso, poi, nel sentire il tono di voce con cui gli venne chiesto se quella fosse la sua camera, ché non capiva se fosse arrabbiata o se il suo modo di parlare fosse sempre così. Le avrebbe voluto rispondere con arroganza, ma decise di non fare scenate inutili.

    Per il momento, sì. Ma volevamo domandare se fosse possibile renderla nostra. Un po' di compagnia non potrà che fare bene ad entrambi.

    Accennò un sorriso che non si impegnò a sostenere, e senza volerlo i suoi occhi osservarono i capelli rossi della donna: erano bellissimi, proprio come quelli di Celine.

    Post 4/5


    Edited by Christian Carrington - 7/5/2024, 17:12
     
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